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Cass. civ. Sez. III, Sent., 07-03-2017, n. 5609, Pres. Vivaldi, Rel. D’Arrigo

Invero, la mancanza di forma scritta per il contratto di apertura del conto corrente n. OMISSIS) dovrebbe comportare la nullità dell’intero rapporto ai sensi dell’art. 117, commi 1 e 3, T.U.B. con conseguenti obblighi restitutori di tutti gli interessi percepiti. Pertanto, la soluzione praticata dal c.t.u. – che si è limitato a sostituire al tasso convenzionale quello legale si rivela comunque più favorevole per la società creditrice”.

“Infatti, affinché una convenzione relativa agli interessi ultralegali sia validamente stipulata, deve avere forma scritta e contenere l’indicazione della percentuale del tasso di interesse in ragione di un periodo predeterminato, ai sensi dell’art. 1284 c.c., comma 3, che è norma imperativa. Tale condizione – che, nel regime anteriore all’entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 154, poteva ritenersi soddisfatta anche per relationem, attraverso il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purché obbiettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del saggio di interesse oggi può dirsi soddisfatta solo quando il tasso di interesse è desumibile dal contratto, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità in capo all’istituto mutuante (Sez. 3, Sentenza n. 2072 del 29/01/2013, Rv. 624955; Sez. 3, Sentenza n. 12276 del 19/05/2010, Rv. 613116)”.

“Com’è noto, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 425 del 2000, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 76, Cost., il D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, il quale aveva fatto salva la validità e l’efficacia – fino all’entrata in vigore della delibera CICR di cui al comma 2 del medesimo art. 25 – delle clausole anatocistiche stipulate in precedenza, siffatte clausole, secondo principi che regolano la successione delle leggi nel tempo, sono disciplinate dalla normativa anteriormente in vigore e, quindi, sono da considerare nulle in quanto stipulate in violazione dell’art. 1283 c.c., perchè basate su un uso negoziale, anzichè su un uso normativo, mancando di quest’ultimo il necessario requisito soggettivo, consistente nella consapevolezza di prestare osservanza, operando in un certo modo, ad una norma giuridica, per la convinzione che il comportamento tenuto è giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme ad una norma che già esiste o che si reputa debba fare parte dell’ordinamento giuridico (opinio juris ac necessitatis). Infatti, va escluso che detto requisito soggettivo sia venuto meno soltanto a seguito delle decisioni della Corte di cassazione che, a partire dal 1999, modificando il precedente orientamento giurisprudenziale, hanno ritenuto la nullità delle clausole in esame, perchè non fondate su di un uso normativo, dato che la funzione della giurisprudenza è meramente ricognitiva dell’esistenza e del contenuto della regola, non già creativa della stessa, e, conseguentemente, in presenza di una ricognizione, anche reiterata nel tempo, rivelatasi poi inesatta nel ritenerne l’esistenza, la ricognizione correttiva ha efficacia retroattiva, poichè, diversamente, si determinerebbe la consolidazione medio tempore di una regola che avrebbe la sua fonte esclusiva nelle sentenze che, erroneamente presupponendola, l’avrebbero creata (Sez. U, Sentenza n. 21095 del 04/11/2004, Rv. 577944).

Pertanto, una volta dichiarata incostituzionale la disposizione retroattiva contenuta nel D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25, comma 3, per i contratti stipulati anteriormente all’entrata in vigore della norma (19 ottobre 1999) la regola non è quella della libera praticabilità della capitalizzazione trimestrale, bensì quella opposta della nullità della relativa clausola”.

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