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Corte d’Appello di Milano, sentenza n. 15 del 5 gennaio 2023, Pres. Rel. Raineri

In assenza di contratto, il fido può essere provato sia per mezzo di elementi sintomatici, sia ex art. 115 c.p.c. per mezzo delle affermazioni della banca. Nella ricostruzione del saldo, deve applicarsi il "saldo rettificato" e non il "saldo banca"

Massime Avv. Dario Nardone

In ipotesi contratto di affidamento aperto in epoca anteriore all’obbligo di forma scritta ad substantiam introdotto dalla L. 154/1992, ai fini di dimostrare la natura affidata del conto possono rilevare plurimi elementi sintomatici quali: il tasso per apertura di credito puntualmente applicato dalla Banca in sede di liquidazione degli interessi, nonché – come acclarati dal CTU –   l’addebito di commissione di massimo scoperto calcolato sul picco dell’utilizzato, il perdurante saldo negativo del conto per decenni senza che vi sia mai stata richiesta di rientro da parte dalla Banca, il sistematico pagamento di assegni con saldo conto in passivo.

L’esistenza fattuale dell’affidamento può trarsi ex art. 115 c.p.c. anche

1) allorquando, nei documenti contabili, sia riportata la testuale locuzione “conti affidati” cui siano ricondotte alcune voci di spesa ivi indicate;

2) a seguito di affermazioni in tal senso della banca (o del suo CTP), imponendo tale norma di prescindere da eventuali indagini sulla forma richiesta dal contratto di affidamento bancario, atteso che il giudice “deve astenersi da qualsivoglia controllo probatorio del fatto non contestato acquisito al materiale processuale, ritenendolo sussistente, in quanto l’atteggiamento difensivo delle parti espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti” (Cass. civ. Sez. III, 17/06/2016, n. 12517);

3) quando la stessa difesa della Banca in primo grado abbia allegato la legittimità dell’applicazione delle CMS affermando che la finalità della medesima era da individuarsi nella “remunerazione della prestazione della banca consistente nell’integrale ed immediata messa a disposizione dei fondi di cui all’apertura di credito a semplice richiesta del cliente“;

A fronte di tali evidenze, va rigettato siccome del tutto incoerente e contraddittorio l’impianto difensivo della Banca che, dopo essersi difesa in primo grado affermando la legittimità della CMS in quanto avente funzione  remuneratoria dello sforzo organizzativo della concessione di un’apertura di credito, deduca poi, in sede di appello, l’assenza di aperture di credito e/o quando dapprima sostiene la mancanza di prova in ordine alla natura affidata del conto per poi affermare, al fine di contestare l’affermazione del Tribunale secondo cui i limiti del fido dovevano individuarsi nella massima esposizione rinveniente tempo per tempo, che i limiti degli affidamenti concessi erano espressamente indicati nella voce “limiti” della liquidazione trimestrale degli interessi debitori, così confermando implicitamente la sussistenza di un fido

Né vale sostenere, come dedotto dalla banca appellante, che le rimesse solutorie dovrebbero essere individuate sulla base del saldo risultante dagli estratti conto e non sulla base del saldo rettificato: come questa stessa Corte ha già avuto modo di chiarire, infatti, per l’individuazione delle rimesse aventi una funzione di pagamento “non ci si può affidare alla contabilità della Banca e alle sue periodiche risultanze finali, in quanto queste sono spesso soltanto apparenti e virtuali […] Occorre prima effettuare  una ricostruzione contabile del conto corrente bancario, depurandolo dalle conseguenze contabili di clausole e prassi nulle e inefficaci, con le quali la Banca ha appesantito indebitamente il passivo e/o lo scoperto di conto corrente del cliente e soltanto dopo potrà stabilirsi, in relazione al limite dell’affidamento accordato dalla Banca, se i singoli versamenti eseguiti abbiano avuto una reale ed effettiva natura solutoria” (App. Milano n. 176/2020); in tal senso cfr. Cass. n. 9141/2020: “Per verificare se un versamento effettuato  dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati  dall’istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento. L’eventuale prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto indebitamente pagato non influisce sulla individuazione delle rimesse solutorie, ma solo sulla possibilità di ottenere la restituzione di quei pagamenti coperti da prescrizione”.

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