Pubblicato il: 25/04/2024

Quando il lavoratore subordinato perde involontariamente l’occupazione, egli ha diritto ad ottenere la c.d. Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego): ossia, un’indennità di disoccupazione che viene erogata dall’INPS.

Se il dipendente si dimette per motivi di salute, egli ha diritto alla Naspi?

Innanzitutto, per accedere all’indennità di disoccupazione, occorrono alcuni requisiti.

Il primo presupposto è lo stato di disoccupazione: ossia, la condizione del soggetto privo di lavoro che abbia perso involontariamente l’impiego e che dichiari online (sul portale nazionale delle politiche del lavoro) la propria immediata disponibilità a lavorare e a partecipare alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego.

Inoltre, lo stato di disoccupazione deve essere involontario: cioè, la perdita dell’occupazione non deve dipendere dalla volontà del lavoratore. Principalmente, si fa riferimento a tutti i casi di licenziamento (compreso il licenziamento disciplinare).

Ancora, occorrono almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

Però, con le dimissioni per malattia, si può ottenere la Naspi?

Come anticipato, la condizione di disoccupazione deve essere involontaria. Ecco perché, in generale, l’indennità Naspi non è riconosciuta quando il rapporto di lavoro è terminato a seguito di dimissioni o di risoluzione consensuale.

Tuttavia, se ci sono gli altri presupposti, l’interessato può accedere alla Naspi anche in particolari casi di dimissioni e di risoluzione consensuale.

Quali sono le ipotesi che possono far attivare la Naspi in caso di risoluzione consensuale e di dimissioni? Sono comprese anche le dimissioni per gravi problemi di salute?

Rispetto alla risoluzione consensuale, il lavoratore acquisisce il diritto all’indennità di disoccupazione in due specifiche situazioni:

  1. l’accesso alla Naspi c’è nel caso di risoluzione consensuale avvenuta nell’ambito della procedura obbligatoria di conciliazione ai sensi dell’art. 7 delle norme sui licenziamenti individuali;
  2. si ha diritto alla Naspi nell’ipotesi di risoluzione consensuale dopo che il lavoratore ha rifiutato di trasferirsi in altra sede distante più di 50 chilometri dalla propria residenza o raggiungibile con i mezzi pubblici mediamente in 80 minuti o più.

Poi, si può ottenere la Naspi in caso di dimissioni per giusta causa: ossia, quando il lavoratore decide di lasciare l’occupazione non per sua libera scelta, ma a causa di comportamenti altrui che rendono impossibile continuare il rapporto di lavoro.

Ancora, la Naspi può essere attivata anche in questi casi:

  • quando la lavoratrice madre presenta le dimissioni nel periodo tutelato di maternità (ossia, tra i 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del bambino);
  • quando il lavoratore padre si dimette durante il primo anno di vita del figlio, sempreché egli abbia goduto del congedo di paternità obbligatorio (art. 27-bis del d.lgs. n. 151/2001) o del congedo di paternità alternativo (art. 28 del d.lgs. n. 151/2001, in caso di morte, di grave infermità della madre, di abbandono o di affidamento esclusivo del bambino al padre).

E nel caso di dimissioni per malattia?

Nel caso di dimissioni per ragioni di salute, il dipendente non può accedere all’indennità di disoccupazione. Questo perché le dimissioni presentate per una sopravvenuta patologia non sono involontarie e, in quanto tali, non determinano il diritto a percepire la Naspi.

La stranezza è che, se lo stesso lavoratore non si dimette ma viene licenziato per ragioni di salute, allora egli può ottenere l’indennità di disoccupazione. Ciò anche se bisogna considerare che il licenziamento per malattia può esserci solo dopo che il datore abbia verificato l’impossibilità di un utile reimpiego del lavoratore all’interno dell’azienda, magari anche destinandolo ad attività di rango inferiore.


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