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Cass. civ., Sez. I, 14 marzo 2017 n. 6559

“Quanto al profilo dell’infondatezza vanno pur in breve richiamati – anche a conferma della corretta soluzione offerta dalla Corte salentina (per cui “la richiesta scritta di una parte può valere infatti come “contratto” solo se risulti da altro atto pure scritto, redatto contestualmente o successivamente, un’accettazione della controparte”) – i principi di recente espressi dalla sentenza di Cass. 24 marzo 2016, n. 5919, a cui la presente pronuncia viene a dare continuità.

Sottolineato come nella materia finanziaria e bancaria l’onere della necessaria forma scritta dei contratti sia imposta «a fini protettivi del cliente», la detta sentenza rileva che tale forma «non è incompatibile con la formazione del contratto attraverso lo scambio di due documenti, entrambi del medesimo tenore, ciascuno sottoscritto dall’altro contraente»; e precisa che allora, e cioè «in caso di formazione dell’accordo mediante lo scambio di distinte scritture inscindibilmente collegate», «il requisito della forma scritta ad substantiam in tanto è soddisfatto, in quanto entrambe le scritture, e le corrispondenti dichiarazioni negoziali  siano formalizzate».

La mancata sottoscrizione di una scrittura privata – continua la sentenza n. 5919/2016 -, può essere supplita, nel rispetto di una determinata serie di condizioni, dalla produzione in giudizio del documento contrattuale da parte del contraente, che non ha sottoscritto lo stesso e che pure se NE intende avvalere; in ogni caso, però, la produzione in giudizio, quando viene a realizzare un equivalente della sottoscrizione, comporta un perfezionamento del contratto che «non può non verificarsi se non ex nunc, e non ex tunc».

Sulla base di queste premesse risulta evidente che l’assunto svolto dal ricorrente – per cui è sufficiente, in materia, una qualunque manifestazione scritta e diretta a controparte dell’intento di avvalersi del contratto e che a supporto della propria posizione invoca, per il caso di specie, l’invio al cliente di un atto di precetto – si scontra con la constatazione che l’atto di precetto non riproduce per intero il testo contrattuale, come invece sarebbe necessario (per di più violando, tra l’altro, pure la norma dell’art. 117, comma 4, del testo unico bancario, che prescrive la necessaria indicazione in contratto di tutte le condizione economiche che si intendono praticare). E anche trascura che l’atto di precetto interviene solo ex post, dopo che il rapporto ha avuto in un modo o nell’altro pieno svolgimento (lo stesso, quindi, sarebbe comunque inidoneo, operando ex nunc, a coprire la sostanza del medesimo). Del resto, l’assunto formulato dal ricorrente viene anche a compromettere del tutto il dovere di consegna di un «esemplare» del contratto al cliente – in quanto tale, propriamente sottoscritto in originale dalla banca -, che pure la norma dell’art. 117 TUB pone esplicitamente in capo alla banca medesima”.

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