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Corte di Appello di Milano, sentenza n. 176 del 20 gennaio 2020, Pres. Bonaretti, Est. Catalano

Al fine di non confondere rimesse “apparentemente solutorie” con rimesse “effettivamente solutorie”, è necessario adottare il criterio del saldo via via rettificato 

Massime Avv. Dario Nardone*

Al fine interruttivo della prescrizione eccepita dalla banca in punto di rimesse solutorie, non è sufficiente la mera contestazione ma è necessaria un’intimazione o richiesta scritta di adempimento idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del correntista, titolare del credito in ripetizione, di fare valere il proprio diritto nei confronti della banca, con l’effetto di costituirla in mora (cfr. Cass. Civ. Sez. Lav., 28/11/2016, n. 24116; Cass. 16717/2003; Cass. n. 10608/2001; Cass. n. 15067/2001).

La scelta del saldo – cruciale, per il notevole divario che induce nelle risultanze del ricalcolo, con ragguardevoli riflessi economici – da impiegare nelle operazioni che presiedono l’individuazione delle rimesse solutorie, deve ricadere nel criterio del saldo opportunamente “rettificato” (che tenga cioè conto delle pretese annotate dalla Banca in conto, legittime e/o illegittime, via via coperte da rimesse solutorie intervenute nel periodo prescritto) e non nel criterio del saldo da estratto conto (o “saldo banca”).

Infatti, come evincesi da Cass. SS.UU. n. 24418/10, l’elemento giuridico discriminante la rimessa solutoria dalla rimessa ripristinatoria è dato dalla presenza o meno di capitale liquido ed esigibile che, in una corretta e fisiologica rappresentazione contabile, si individua nel capitale erogato oltre il fido o in assenza di fido; tale erogazione, esulante dal contratto di apertura di credito, dà luogo ad un credito della banca liquido ed immediatamente esigibile unitamente ai relativi interessi maturati e scaduti.

Ne deriva che, al di fuori dell’ammontare corrispondente al capitale liquido ed esigibile (e delle pertinenze ad esso riferite e pretese), la rimessa non assume una natura solutoria: ogni altro spostamento che risultasse dal sistema di contabilizzazione adottato dalla Banca, risulterebbe solo apparente, privo di efficacia traslativa, ossia dovrebbe riguardarsi come un mero deposito effettuato dal cliente sul proprio conto ed a proprio favore [sicché anche le rimesse su conto con saldo positivo non possono essere ritenute solutorie, ndr].

Atteso che la distinzione tra rimesse ripristinatorie e solutorie non può non venire in evidenza anche quando si tratti di stabilire se è o meno configurabile un pagamento, asseritamente indebito, da cui possa scaturire una pretesa restitutoria da parte del solvens (pretesa che è soggetta a prescrizione solo a partire dal momento in cui si può affermare che essa sia venuta ad esistenza); atteso che le SS.UU, nel distinguere il credito concesso a scadenza dal credito in extra fido, ravvisano solo in quest’ultimo le condizioni di immediata liquidità ed esigibilità che rendono la rimessa un pagamento, sicché consequenziale risulta la sorte degli interessi riferiti all’una e all’altra forma di credito; considerato, altresì, che per l’individuazione delle rimesse aventi una funzione di pagamento, si pone il problema di distinguere e separare le diverse annotazioni, per ricostruire il corretto rapporto di conto, che esprima la natura, passiva o di scoperto del saldo capitale, alla quale soltanto risulta connessa la natura solutoria della rimesse successive, altrimenti da considerarsi ripristinatorie; tanto premesso, risulta allora evidente che, per compiere tale accertamento, non ci si possa affidare alla contabilità della Banca e alle sue periodiche risultanze finali, in quanto queste sono spesso soltanto apparenti e virtuali, controvertendosi innanzi tutto sulla validità di clausole contrattuali e di prassi contabili applicate, perché, in ipotesi, contrarie a norme imperative e inderogabili.

È invece doveroso prima effettuare una ricostruzione contabile del conto corrente bancario, depurandolo dalle conseguenze contabili di clausole e prassi nulle e inefficaci, con le quali la Banca ha appesantito indebitamente il passivo e/o lo scoperto di conto corrente del cliente; soltanto dopo potrà stabilirsi, in relazione al limite dell’affidamento accordato dalla Banca, se i singoli versamenti eseguiti abbiano avuto una reale ed effettiva natura solutoria (in presenza di uno scoperto ultrafido) ovvero ripristinatoria (in presenza di un passivo intrafido).

In estrema sintesi, per il calcolo delle rimesse solutorie è necessario adottare il criterio del saldo rettificato, al fine di non confondere rimesse “apparentemente solutorie” con rimesse “effettivamente solutorie”.

Ai fini dell’individuazione del dies a quo da cui computare gli interessi legali, la domanda di cui all’art. 2033 c. c. non va intesa come riferita esclusivamente alla domanda giudiziale, ma anche ad atti stragiudiziali aventi valore di costituzione in mora, ai sensi dell’art. 1219 c. c. (cfr. Cass. SS.UU. n. 15895/2019).

Conformi:

Corte di Appello di Bologna, sentenza n. 2920 del 26 novembre 2018, Pres. De Cristofaro, Rel. Caruso

Corte di Appello di Bologna, sentenza n. 2994 del 18 dicembre 2017, Pres. Guidotti, Rel. Caruso

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7 thoughts on “Corte di Appello di Milano, sentenza n. 176 del 20 gennaio 2020 – Al fine di non confondere rimesse “apparentemente solutorie” con rimesse “effettivamente solutorie”, è necessario adottare il criterio del saldo via via rettificato

  1. Grazie Collega.Il criterio del saldo rettificato è stato da noi sollevato ma il Tribunale di Bari lo ha sempre disatteso. Un motivo in più per insistere.

  2. Grazie, importantissimo. Da noi sempre sostenuto ma disatteso nei tribunali. La semplice risposta di una CTU: Lei ha ragione ma questo è il quesito.

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