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Corte di Appello di Bari, sentenza n. 1735 del 15 ottobre 2020, Pres. Di Leo, Rel. Romano

È nulla per indeterminatezza ed indeterminabilità la clausola relativa al tasso di interesse pari al “prime rate ABI”, con conseguente applicazione sanzionatoria dei tassi BOT ex art. 117 TUB

Massime Avv. Dario Nardone*

È nulla per indeterminatezza ed indeterminabilità la clausola relativa al tasso di interesse pari al “prime rate ABI”, atteso che nella vigenza dell’art. 117, 4° comma, d.leg. n. 385 del 1993, il tasso di interesse può si essere determinato per relationem (con esclusione del rinvio agli usi), purché, però, il contratto richiami “criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dalla banca” (cfr. Cass., sez. I, 26-06-2019, n. 17110); pertanto, come accade nel prime rate, “deve invece negarsi che il rinvio a fonti esterne possa operare allorquando il saggio di interesse sia fatto dipendere dalla determinazione unilaterale dell’istituto di credito. […] In termini generali, ammettere che la banca possa richiamare, in contratto, un tasso di interesse non espresso in cifra, ma dalla medesima definito con riferimento a proprie condotte, o prassi aziendali, presenti e future, significa consentire non solo l’elusione dell’art. 117, comma 4, t.u.b., con riferimento all’obbligo, ivi previsto, di enunciazione in contratto del tasso di interesse, ma altresì, quella dell’art. 118 t.u.b., recante le condizioni e modalità dello jus variandi” (Cass. 17110/19, cit.).

È nulla la fideiussione conforme allo schema ABI vietato dalla Banca d’Italia con provvedimento n. 55/2005 e la nullità è totale in ragione del carattere essenziale che va riconosciuto alle clausole schema ABI.

Stralcio

In tema di obbligazioni pecuniarie, perché la convenzione relativa agli interessi ultralegali soddisfi la condizione posta dall’art. 1284 c.c., comma 3, occorre che il documento contrattuale contenga il richiamo a criteri “prestabiliti” ed elementi “obbiettivamente individuabili” (cfr. Cass. 14684/03; 2103/96) ed “estrinseci”, come tali ultronei rispetto a mere scelte interne discrezionali della banca contraente (Cass. 8028/18; 3480/16; 25205/14; 2072/13; 12276/10; con particolare riferimento all’ipotesi di tasso di interesse variabile, nel senso che è necessario, ai fini dell’esatta individuazione concreta del tasso stesso, il riferimento a parametri che consentano la sua precisa determinazione, non essendo sufficienti generici riferimenti dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione: Cass. 24153/17; 22179/15; 17679/09; 2317/07).

Non soddisfano, pertanto, un tale requisito di determinatezza né il rinvio a parametri privi del carattere della “sufficiente univocità”, “mutevoli” e privi di margini predeterminati (Cass. 4490/02, in motivazione), non riscontrabili con criteri di certezza per difetto di univoca determinabilità dell’ammontare del tasso sulla base del documento contrattuale (cfr. Cass. 4094/05), né il rinvio a parametri interni alla scelta volontaristica e non prevedibile di uno dei due contraenti, ossia discrezionalmente “autodeterminati” da uno di essi, senza previa fissazione di predefiniti vincoli esterni di “dosaggio” della discrezionalità del creditore pecuniario (cfr. Cass. 6187/05).

Ne discende, perciò, la nullità di una clausola contrattuale che autorizzi la modificabilità unilaterale e discrezionale del corrispettivo di una prestazione da parte di uno dei contraenti, trattandosi di previsione che non soddisfa il requisito in parola (così testualmente Cass. 5281/02; 6723/94; 339/75).

Peraltro, nella specifica materia dei contratti bancari, tale onere di determinatezza dei tassi di interesse discende, oltre che dalla richiamata disciplina generale dei contratti (artt.1346,1418,1284 c.c.), anche dalla specifica prescrizione “di settore” che impone la “indicazione del tasso di interesse” (art. 117, comma 4°, D.lgs. n. 385/93), a pena di eterointegrazione normativa imperativa del tasso ai sensi del successivo comma 7.

Nella vigenza dell’art. 117, 4° comma, d.leg. n. 385 del 1993, infatti, il tasso di interesse può essere determinato per relationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma “in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere determinati unilateralmente dalla banca” (cfr., di recente, Cass., sez. I, 26-06-2019, n. 17110: nella specie, la suprema corte ha ritenuto nulla la pattuizione del tasso di interesse, all’interno di un contratto di conto corrente bancario, operata attraverso il riferimento ad un generico ‘top rate’, concretamente specificato solo in un avviso sintetico redatto dalla banca ed esposto al pubblico).

Più in particolare, secondo quel che afferma la S.C., occorre aver riguardo alla ratio della norma, che – pur nella cornice dei valori costituzionali del corretto funzionamento del mercato e dell’uguaglianza non solo formale tra contraenti (artt. 41 e 3 Cost.: cfr. Cass. Sez. U. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 con generale riferimento alle nullità di protezione) – va individuata in una esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative, essendo la prescrizione diretta a porre quel soggetto nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma.

Finalità che, però, in tanto può essere soddisfatta in quanto il richiamo ad elementi esterni obiettivamente individuabili trovi un reale fondamento giustificativo nella necessità di ancorare il tasso di interesse a indici o parametri di sicura identificazione che non siano determinati dalla banca, giacchè solo in tal caso non si è in presenza di alcun occultamento delle condizioni economiche contrattuali e la relatio è necessitata proprio dalla volontà di far dipendere l’ammontare dell’interesse da elementi esterni non predeterminabili.

Al contrario, “deve invece negarsi che il rinvio a fonti esterne possa operare allorquando il saggio di interesse sia fatto dipendere dalla determinazione unilaterale dell’istituto di credito. […] In termini generali, ammettere che la banca possa richiamare, in contratto, un tasso di interesse non espresso in cifra, ma dalla medesima definito con riferimento a proprie condotte, o prassi aziendali, presenti e future, significa consentire non solo l’elusione dell’art. 117, comma 4, t.u.b., con riferimento all’obbligo, ivi previsto, di enunciazione in contratto del tasso di interesse, ma altresì, quella dell’art. 118 t.u.b., recante le condizioni e modalità dello jus variandi” (Cass. 17110/19, cit.).

Erra, perciò, il tribunale nel ritenere legittima la pattuizione del saggio di interesse operata attraverso il riferimento ad un generico “prime rate ABI”, la cui determinazione è affidata ad una rilevazione periodica dell’ABI che si basa su criteri tutt’altro che certi, univoci ed obiettivamente individuabili, ma – al contrario – rimessi all’unilaterale apprezzamento di un organismo di categoria che rappresenta solo una delle due parti contrattuali.

È evidente, quindi, la nullità di una pattuizione di interesse ultralegale che rinvia ad elementi la cui identificazione è insuscettibile di attuarsi in modo inequivoco e/o a parametri dipendenti dall’esclusiva e mutevole volontà del creditore pecuniario, di conseguenza da quest’ultimo di volta in volta “autodeterminati”, in assenza di qualsivoglia preventiva previsione negoziale di parametri oggettivi prefissati entro cui poter esercitare la variazione del ‘prime rate’.

In definitiva, tramite questa modalità di determinazione del tasso di interesse, si autorizza la banca all’esecuzione di indeterminabili ed insindacabili variazioni dei tassi per effetto di altrettanto incontrollabili variazioni applicate ai tassi di altri rapporti di credito intrattenuti con la “primaria” clientela dell’istituto, e senza che possa operare il bilanciamento della facoltà di recesso di cui all’ art. 118 TUB, trattandosi dell’effetto dell’applicazione dell’ “originario” tasso di interesse variabile pattuito (PRIME RATE ABI vigente in quel tempo + spread originario), non già una variazione di quel tasso, rimasto immutato nei suoi parametri (interni) di riferimento (prime rate + spread).

Né, d’altro canto, può ritenersi che la conoscenza successiva del saggio applicato valga a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l’art. 1346 cod. civ. esige “a priori”, al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia determinato da entrambe le parti ma da una di esse, che l’abbia portato a conoscenza dell’altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fornire l’informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (cfr. Cass. n. 14684/03; 1287/02).

 

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