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Cass. civ., Sez. III, ordinanza n. 28158 del 10 novembre 2020, Pres. Travaglino, Rel. Fiecconi

Atteso che le rimesse su conto corrente hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista, la banca eccipiente la prescrizione delle rimesse solutorie ha l’onere di allegare e produrre in giudizio il contratto di apertura di credito. Il diritto ex art. 119 TUB può essere esercitato anche in corso di causa, essendo uno strumento di protezione del cliente e non di penalizzazione

1. Eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie ed onere di produzione del contratto di affidamento

Stralcio

In punto di eccezione di prescrizione delle rimesse solutorie sollevata dalla banca, “deve innanzitutto darsi atto che è intervenuta una pronuncia delle SU della cassazione, sentenza n. 15895/2019 del 13 giugno 2019, con la quale si è sancito che in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte.

Pertanto, sulla base di tale principio, la qualificazione delle rimesse del conto (solutorie o ripristinatorie) ai fini della decorrenza del termine di prescrizione è rimessa alla valutazione del giudice che si può, in questo, giovare dell’opera di un CTU ad hoc nominato.

Tuttavia è utile precisare che, nel caso specifico, sarebbe spettato alla banca, e non al correntista, provare che il contratto bancario rientra in quelle ipotesi in cui si pone una questione di distinzione tra poste ripristinatorie e solutorie, come nel contratto di conto corrente ove sono ammesse operazioni allo scoperto.

Difatti, come insegna questa Corte, i versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all’accipiens (Cass. n.4518/2014; Cass n. 20933 del 2017; Cass. n. 12977 del 2018). Dunque, a fronte dell’eccezione di prescrizione del credito a decorrere dalle singole rimesse, sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Sez. 1 – , Ordinanza n. 31927 del 06/12/2019).

In tale caso, difatti, le poste hanno normalmente funzione ripristinatoria e non solutoria. In altri termini, è piuttosto la banca tenuta a provare che, a livello contrattuale, non si ricade in una ipotesi di affidamento che, nella tecnica bancaria, esclude la presenza di operazioni allo scoperto, e ciò a supporto della eccezione di prescrizione sollevata in relazione a pagamenti di poste solutorie del conto corrente”.

2. Diritto ex art. 119 TUB

Stralcio

«il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di

penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante» (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 3875 del 08/02/2019; Sez. 1. 13277 del 2018 Rv. 649155 – 01; Sez. 1 – , Sentenza n. 11554 del 11/05/2017). Difatti, il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi dell’art. 119, comma 4, TUB (d.lgs. n. 385 del 1993), anche in corso di causa ed attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo…

Va ricordato, prima di tutto, che il diritto del cliente ad avere copia della documentazione ha natura sostanziale e non meramente processuale e la sua tutela si configura come situazione giuridica “finale”, e

non puramente strumentale. Non trovano pertanto applicazione, nella fattispecie, i principi elaborati dalla giurisprudenza in ordine di esibizione dei documenti ex art. 210 cod. proc. civ. e, dunque, non può pertanto negarsi il diritto del cliente di ottenere copia della documentazione richiesta, adducendo a ragione e in linea di principio la natura meramente esplorativa dell’istanza in tal senso presentata (Cass. n. 11004/2006).

Da rilevare è, inoltre, che la «norma del comma 4 dell’art. 119 T.U.B. non ‘ contempla, o dispone, nessuna limitazione che risulti in qualche modo attinente alla fase di eventuale svolgimento giudiziale dei rapporti tra correntista e istituto di credito. D’altra parte, non risulta ipotizzabile una ragione che, per un verso o per altro, possa giustificare, o anche solo comportare, un simile risultato.

Da rimarcare, ancora, è che la richiamata disposizione dell’art. 119 viene a porsi tra i più importanti strumenti di tutela che la normativa di trasparenza – quale attualmente stabilita nel testo unico bancario vigente – riconosca ai soggetti che si trovino a intrattenere rapporti con gli intermediari bancari.

Appare così chiaro come non possa risultare corretta una soluzione che limiti l’esercizio di questo potere alla fase anteriore all’avvio del giudizio eventualmente intentato dal correntista nei confronti della banca presso la quale è stato intrattenuto il conto. Difatti una simile ricostruzione non risulta solo in netto contrasto con il tenore del testo di legge, che peraltro si manifesta inequivoco. La stessa tende, in realtà, a trasformare uno strumento di protezione del cliente – quale si è visto essere quello in esame – in uno strumento di penalizzazione del medesimo: in via indebita facendo transitare la richiesta di documentazione del cliente dalla figura della libera facoltà a quella, decisamente diversa, del vincolo dell’onere.

D’altra parte, neppure è da ritenere che l’esercizio del potere in questione sia in qualche modo subordinato al rispetto di determinare formalità espressive o di date vesti documentali; né, tantomeno, che la formulazione della richiesta, quale atto di effettivo esercizio di tale facoltà, debba rimanere affare riservato delle parti del relativo contratto o, comunque, essere non conoscibile dal giudice o non transitabile per lo stesso. Difatti, simili eventualità si tradurrebbero, in ogni caso, in appesantimenti dell’esercizio del potere del cliente, non previsti dalla legge e frontalmente contrari, altresì, alla funzione propria dell’istituto.

Pure è da segnalare che è vero che l’esibizione di documenti non può essere chiesta, ai sensi dell’art. 210 cod. proc. civ. a fini meramente esplorativi. Tuttavia, nel caso in cui «non sia contestata l’applicazione al rapporto di conto corrente di interessi ultralegali non pattuiti nelle forme di legge, nonché l’applicazione della capitalizzazione trimestrale», «non può mettersi in dubbio l’esistenza di un conto corrente, non contestato dalla Banca e dunque l’esistenza della documentazione relativa alla sua gestione». In ragione dei contenuti propri della norma dell’art. 119 comma 4 T.U.B., il «correntista ha diritto di ottenere dalla Banca il rendiconto, anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale» (Cass., n. 21472/2017)”.

 

 

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