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Tribunale di Genova, sent. n. 1157 del 4 maggio 2017, Est. Audifredi

Passando all’esame del merito, va, anzitutto, affrontata la problematica afferente il computo degli interessi moratori ai fini della verifica dell’usura. Secondo la difesa di parte convenuta, gli interessi moratori, non avendo funzione remuneratoria, ma risarcitoria, sarebbero riconducibili al genus delle clausole penali e non sarebbero soggetti alla disciplina dell’usura bancaria, con la conseguenza che il TEG, sulla cui base viene individuato il tasso soglia, non andrebbe calcolato con riferimento ai tassi moratori, ma soltanto a quelli corrispettivi. Invero, ai sensi dell’art.644, 4°c, cp, per la determinazione del tasso di interesse usurario si deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese…collegate alla erogazione del credito. Questa formula (collegamento alla erogazione del credito) è più ampia di quella indicata nel primo comma dell’art.644 cp (in corrispettivo della prestazione di denaro), coprendo anche costi del credito diversi dagli interessi corrispettivi, comunque inerenti alla concessione del credito, ancorché in posizione accessoria rispetto al sinallagma. La questione è stata affrontata dalla C.S., che sul punto si è pronunciata più volte, affermando che si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi, o comunque convenuti, a qualunque titolo, quindi anche a titolo di interessi moratori, e, più in particolare, che, in tema di contratto di mutuo, l’art. 1 della L. 108/96 riguarda sia gli interessi corrispettivi che quelli moratori (cfr. Cass.n.350/13; Cass.n.602/13; Cass.n.603/13; Cass.n. 14899/00; Cass.n.5324/03). Anche la Corte Costituzionale, in un obiter dictum nella sentenza n. 29/02, è intervenuta sull’argomento, affermando che il riferimento contenuto nell’art.1, c.1, D.L. 394/00 agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile l’assunto secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori. E’ interessante notare come la riconducibilità degli interessi moratori a quelli usurari ed alla disciplina dell’art. 1815 cc sia stata sostenuta dalla C.S. anche da prima della entrata in vigore della L. 108/96, con sentenza n. 4251/92. Accertata la rilevanza degli interessi moratori ai fini della verifica della usurarietà, occorre verificare a quali condizioni essi rientrino nel computo del TEG, questione che la giurisprudenza di legittimità non ha mai affrontato. Questo giudice ritiene condivisibile il principio sancito da alcuni giudici di merito (cfr. Trib. Udine 26/09/14), secondo cui la norma di interpretazione autentica del D.L.394/00 (“si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”) prevede un divieto di pattuizione che attribuisce rilevanza all’onere eventuale (interessi di mora) per il solo fatto di essere stato promesso e di poter generare, a determinate condizioni, costi superiori alla soglia di usura, indipendentemente dal fatto che quelle condizioni si siano verificate e che il costo del credito abbia effettivamente superato i limiti del penalmente lecito: l’onere eventuale è, dunque, rilevante solo perché promesso, ossia potenziale. Ed anche la Relazione Governativa di presentazione al Parlamento del richiamato D.L.394/00 spiega che, quando in un contratto di prestito venga convenuto un tasso d’interesse, sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio, il momento a cui riferirsi per verificare la eventuale usurarietà sotto il profilo sia civile che penale è quello della conclusione del contratto, a nulla rilevando l’effettivo pagamento degli interessi medesimi. Va, dunque, verificato esclusivamente lo scenario corrispondente al programma negoziale fissato nel contratto, ed al TEG che esso esprime. Quanto, infine, alla maggiorazione dei 2,1 punti percentuali rispetto al tasso soglia, di cui parte convenuta sostiene la applicabilità, va osservato che, in effetti, una indagine statistica a fini conoscitivi, condotta dalla Banca d’Italia e dall’Ufficio Italiano Cambi nel lontano 2002, rilevò che, “con riferimento al complesso delle operazioni facenti capo al campione di intermediari considerato, la maggiorazione stabilita contrattualmente per i casi di ritardato pagamento è mediamente pari a 2,! punti percentuali “, tuttavia un tasso rilevato una tantum e mai più aggiornato, neppure rilevato per classi di operazioni omogenee, ma alla rinfusa “con riferimento al complesso delle operazioni”, è manifestamente incoerente col procedimento di determinazione delle soglie di usura previsto dalla L. 108/96: il limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari è unico ( art. 644, 3° c, cp) , e, per essere unico, non può che essere globale ( art 644, 4° c, cp): o il costo (interessi, commissioni, spese) è inerente alla concessione di credito – ed in tal caso rientra nel TEG – oppure ne è estraneo. Quanto sopra premesso, e rilevato che dalla CTU – pienamente condivisibile – è emerso che, al momento della stipula del contratto di mutuo per cui è causa, il tasso di mora risulta superiore al tasso soglia (per cui non occorre, nella specie, che la verifica dell’usura vada effettuata sviluppando i calcoli sui possibili scenari di morosità in cui può evolvere il rapporto, ovvero predisponendo un conteggio che evidenzi, fra i molteplici scenari di mutamento del piano di rimborso per effetto della morosità, quale sia quello caratterizzato dal TAEG massimo, per poi raffrontarlo al tasso soglia e, in caso di superamento, operare i ricalcoli del dovuto), non resta che esaminare quali siano le conseguenze giuridiche della nullità di tale clausola contrattuale, giusta il disposto dell’art. 181 5, secondo comma, cc, tenendo conto del fatto che solo il tasso di mora, e non anche quello corrispettivo, supera la soglia di usura. Tale norma, al secondo comma, prevedeva prima della entrata in vigore dell°art.7 L.108/96 che “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e gli interessi sono dovuti solo nella misura legale”, mentre la nuova normativa ha statuito che, “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”, prevedendo una sorta di sanzione a carico del mutuante che ha contrattualizzato somme in dispregio della normativa antiusura.

Sull’interpretazione dell’art. 18l5, secondo comma, cc si fronteggiano due tesi contrapposto, l’una che afferma la gratuità dell’intero negozio ( C. A. Venezia  8/2/13 n.342), l’altra che afferma la nullità della sola clausola che fissa gli interessi di mora (T. Napoli 28/1/14).

Ritenuto, peraltro, che il tasso di mora non ha un rilievo in sé, ma va valutato nell’ambito del tasso effettivo globale annuo pattuito assieme ad ogni altro costo, spesa, remunerazione, ecc., è evidente che, una volta constatato il superamento della soglia d’usura da parte del TEG, l’art. 1815, secondo comma, cc, va applicato in tutta la sua portata, anche se il semplice tasso d’interessi corrispettivi non supera di per sé la soglia in esame.

In conclusione, atteso che: a) gli interessi di mora vanno computati ai fini della verifica della soglia di usura; b) per la verifica del superamento o meno di detta soglia va fatto riferimento al momento di stipula del contratto; c) il tasso soglia va calcolato senza applicare la maggiorazione di 2,1 punti percentuali; d) la CTU ha evidenziato che, al momento della stipula del contratto, il tasso di mora pattuito superava il tasso soglia; e) parte attrice ha compiutamente adempiuto al proprio onere probatorio, mediante produzione di tutte le fatture emesse dalla banca, comprovanti gli avvenuti pagamenti, nonché del contratto di mutuo e dell’allegato piano di ammortamento, in cui risultano tutti gli importi dovuti a titolo di interessi, oltre alla relazione del dott. Massimo Latini; la domanda attorea merita accoglimento, e dovrà, pertanto, parte convenuta essere condannata alla restituzione a favore di parte attrice dell’importo di € 10.21O,36=, oltre interessi di legge, così come richiesto e mai contestato dal la convenuta nel suo ammontare.

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