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Tribunale di Massa, 7 novembre 2018, Est. Domenico Provenzano
L’inciso “in corrispettivo” dell’art. 644 c.p., in un’interpretazione logico sistematica, è da intendersi riferito a tutti gli interessi ed oneri pattuiti in contratto (es.: commissione di estinzione anticipata), rilevanti ai fini usura solo perché promessi

La pattuizione degli interessi al momento della stipulazione si riferisce tanto a
quelli corrispettivi quanto a quelli moratori, essendo volontà del
Legislatore quella di prendere in considerazione, agli effetti della disciplina
in esame, ogni tipo di interessi, a prescindere dalla loro funzione,
costituendo anche la pattuizione o la promessa di interessi usurari per il
caso della mora del debitore uno strumento di abuso della posizione del
creditore mutuante e di sfruttamento della difficoltà economica del primo.

In tale contesto, la ricostruzione della fattispecie criminosa come reato istantaneo, nel senso che si consuma al momento della pattuizione degli
interessi (non a quello della scadenza della relativa obbligazione o del suo
pagamento), in conformità alla succitata norma di interpretazione
autentica (L. 24/2001), conferma ulteriormente che gli interessi moratori,
per quanto eventuali (la relativa obbligazione sorge infatti solo in caso di
inadempimento), sono comunque convenuti ab origine, così come quelli
corrispettivi (essendo la ratio della norma integrata quindi per gli uni come
per gli altri).

La verifica del superamento del tasso soglia va quindi
compiuta, per espressa voluntas legis, non già tenendo conto del tasso
nominale applicato al rapporto, bensì del tasso effettivo globale, che
comprende una serie, un aggregato di costi del finanziamento comunque
collegati all’erogazione del credito, non assumendo pertanto a tal fine
rilievo la mera remunerazione (nominale) del prestito (consistente negli
interessi corrispettivi) ed essendo conseguentemente irrilevante il nomen
juris delle varie voci di costo da prendere in considerazione; tanto che
l’art. 644, al comma 1, nel descrivere la condotta tipica dell’ipotesi
criminosa, fa espresso riferimento al farsi “dare o promettere”, “per sé o
per altri”, “interessi o altri vantaggi usurari”, “sotto qualsiasi forma” ed “in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità”; valorizzando al
comma 4, ai fini della relativa verifica, ogni voce che contribuisca a
determinare il costo complessivo effettivo del finanziamento e che va
quindi presa in considerazione allo scopo di raffrontare il tasso soglia con
il T.E.G. della singola operazione creditizia (“Per la determinazione del
tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni
a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse,
collegate alla erogazione del credito”).

In altri termini, per espressa voluntas legis, il paradigma del controllo antiusura è costituito da un aggregato di diverse componenti (nel loro complesso integrante il costo del finanziamento), aggregato nell’ambito del quale gli interessi
(corrispettivi o moratori che siano), intesi nel tradizionale senso civilistico
del termine, costituiscono soltanto uno dei vari elementi.

Ricollegare l’illecito usurario alla dazione o alla promessa di “interessi o altri vantaggi” “in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità” varrebbe – almeno apparentemente – a circoscrivere il fenomeno usurario alla pattuizione dei soli interessi corrispettivi, ma tale rilievo trascura di considerare la dirimente (ed
ineludibile) portata esegetica del già citato art. 1 del D.L. n. 394/2000
(convertito in L. n. 24/2001), in virtù dell’espresso riferimento ivi contenuto
agli interessi “convenuti a qualunque titolo”; dovendosi quindi considerare
che è proprio il riferimento agli “altri vantaggi” usurari presente nell’art. 644
c.p. che consente ragionevolmente di ricondurre all’ambito applicativo
della stessa disposizione anche gli interessi moratori, avendo essi la
funzione di ristoro predeterminato e forfettario del danno da ritardo
nell’adempimento dell’obbligazione pecuniaria ed essendo sicuramente
destinati, in quanto tali, ad incidere sull’onerosità del prestito. In buona
sostanza, un’interpretazione dell’inciso “in corrispettivo” di tipo logicosistematico consente di riconnettere tale espressione alla pattuizione
tanto degli interessi quanto degli altri vantaggi, laddove si intenda la
corrispettività non già quale mero attributo descrittivo degli interessi,
bensì, in conformità al tenore logico-testuale del citato art. 644 c.p., come
connotato afferente alla funzione degli stessi interessi o vantaggi
nell’ambito della complessiva portata causale del rapporto contrattuale:
l’inciso “in corrispettivo” ha, infatti, come punto di riferimento, nella
struttura della fattispecie criminosa, la descrizione della condotta tipica del
“farsi dare o promettere”, sicché la corrispettività degli interessi, così come
degli altri vantaggi, va valutata in rapporto al profilo causale della loro
pattuizione ed in relazione a tutti i possibili scenari (fisiologici o patologici
che siano) configurabili nell’evoluzione del rapporto medesimo in fase esecutiva.

Ne deriva che anche la previsione di interessi moratori (così
come quella di una clausola penale), pur avendo l’intrinseca finalità di
forfettaria ed anticipata liquidazione del danno da ritardato adempimento
dell’obbligazione pecuniaria, assume di fatto, nell’ottica del creditore, una
finalità di corrispettivo della concessione del credito. Ciò in quanto il
creditore si cautela (attraverso la convenzionale stipulazione di un tasso
moratorio più elevato di quello legale) contro i possibili effetti
pregiudizievoli dell’inadempimento o dell’adempimento tardivo
dell’obbligazione restitutoria del mutuatario; e tale previsione negoziale
ben può assumere, nella complessiva economia concreta del contratto, un
rilievo connesso al livello di rischio-inadempimento esplicitato già in fase
di predisposizione dell’accordo contrattuale in relazione allo specifico
contraente-debitore o alla categoria cui questi appartiene.

Pertanto, il riferimento contenuto nell’art. 644 c.p. al “corrispettivo” – alla stregua di
un’interpretazione logico-sistematica della disposizione, aderente alle
esigenze di tutela sottese ed alla ratio della disciplina protettiva in esame –
non significa affatto che solo gli interessi corrispettivi possono dare luogo
al reato di usura. Il reato è infatti integrato qualora vi sia una
“corrispettività” (id est, in termini contrattuali, un sinallagma causale) tra
una dazione di denaro ed un vincolo giuridico (consistente anche solo in
una promessa), che possa consentire al mutuante di ottenere vantaggi
(tra i quali anche interessi) sproporzionati rispetto al valore del denaro; ciò
che rende evidente che la nozione di “corrispettività”, nella portata
precettiva della stessa disposizione, non attiene alla natura degli interessi
o della utilità de quibus, bensì alla riferibilità degli interessi medesimi alla
sfera giuridica della parte cui essi sono destinati ed alla correlazione degli
stessi alla concessione del finanziamento (essendo essi, in tal guisa, pur
sempre “correlati all’erogazione del credito”, ai fini della verifica antiusura
di cui all’art. 644 comma 4 c.p.).

 

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