Pubblicato il: 09/10/2025
Il salario minimo può essere stabilito per legge (salario minimo legale), dalla contrattazione collettiva nazionale, o dalla combinazione della fonte normativa con la contrattazione collettiva.
Attualmente, in 21 Paesi dell'Unione Europea esistono salari minimi legali, mentre in 6 Stati membri – Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia – la protezione del salario minimo è fornita esclusivamente dai contratti collettivi.
Con riferimento agli Stati membri in cui sono previsti salari minimi legali, la direttiva europea chiede a tali Stati di istituire le necessarie procedure per la loro determinazione ed il loro aggiornamento, sulla base di criteri che ne assicurino l'adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l'alto, nonché ridurre il divario retributivo di genere.
I criteri per tale aggiornamento – che deve avvenire almeno ogni due anni (quattro per gli Stati che ricorrono ad un meccanismo di indicizzazione automatica), con il coinvolgimento delle parti sociali – comprendono almeno:
- il potere d'acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita;
- il livello generale dei salari e la loro distribuzione;
- il tasso di crescita dei salari;
- i livelli e l'andamento nazionali a lungo termine della produttività.
Con riferimento ai Paesi in cui la definizione di un salario minimo è affidata alla contrattazione collettiva, la direttiva reca alcune disposizioni volte alla sua promozione, nonché ad incrementarne la copertura. Per le suddette finalità si dispone, tra l'altro, che gli Stati membri:
- promuovano lo sviluppo e il rafforzamento della capacità delle parti sociali di partecipare alla contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, in particolare a livello settoriale o intersettoriale;
- previa consultazione delle parti sociali, o mediante un accordo con queste ultime, o a seguito di una richiesta congiunta delle parti sociali, definiscano un piano d'azione – sottoposto a riesame almeno ogni cinque anni – volto alla promozione della contrattazione collettiva. Con tale piano lo Stato stabilisce un calendario chiaro e misure concrete per aumentare progressivamente il tasso di copertura della contrattazione collettiva, nel pieno rispetto dell'autonomia delle parti sociali.
In particolare si prevede quanto segue:
- i decreti legislativi dovranno "definire, per ciascuna categoria di lavoratori, i contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente applicati", al fine di prevedere che il trattamento minimo di tali contratti "costituisca, la condizione economica minima da riconoscere ai lavoratori appartenenti alla medesima categoria";
- nei contratti di appalto e subappalto legati a servizi, indipendentemente dall’ambito o dal comparto, le imprese affidatarie avranno l’onere di garantire ai dipendenti impiegati nell’esecuzione dell’opera un trattamento retributivo complessivo non inferiore a quello fissato dai contratti collettivi nazionali di lavoro maggiormente diffusi nel settore di riferimento;
- qualora i lavoratori non siano coperti da contrattazione collettiva, sarà necessario applicare il contratto collettivo della categoria più simile, così da estendere loro i livelli minimi previsti. Parallelamente, si dovranno introdurre meccanismi in grado di incentivare la crescita graduale della contrattazione integrativa, con l’obiettivo di renderla più flessibile e capace di rispondere alle variazioni del costo della vita.
I decreti delegati, inoltre, dovranno regolamentare nel dettaglio anche forme di coinvolgimento dei dipendenti nella gestione aziendale e nella distribuzione dei profitti. Una novità, questa, introdotta dalla recente legge n. 76 /2025.
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