Pubblicato il: 17/10/2025

Pagare con il POS è ormai un’abitudine quotidiana, ma per chi gestisce un’attività può rappresentare un costo non trascurabile. Infatti, ogni transazione con carta comporta una commissione che va a ridurre i margini di guadagno. Per alleggerire l’impatto di queste spese, lo Stato ha introdotto un aiuto fiscale, ovvero il Bonus POS, un credito d’imposta che permette di recuperare parte delle commissioni pagate per i pagamenti elettronici.

Perché il Governo punta sui pagamenti elettronici
L’obbligo di accettare carte e pagamenti digitali nasce dall’esigenza di ridurre l’evasione fiscale. A differenza del contante, infatti, le transazioni effettuate tramite strumenti tracciabili consentono un controllo più pregnante e costante dei movimenti di denaro. Dal 1° gennaio 2026, inoltre, scatterà l’obbligo di collegare il POS al registratore di cassa.
Se l’utilizzo massiccio di pagamenti digitali e tracciabili favorisce le finanze dello Stato, esso rappresenta, per commercianti e professionisti, un costo fisso oramai inevitabile. Proprio per questo il credito d’imposta sulle commissioni POS è diventato uno strumento importante per migliaia di partite IVA.

Quanto vale il Bonus POS e chi può ottenerlo
Il credito d’imposta sulle commissioni POS è stato introdotto dall’art. 22 del D.L. n. 124/2019 (c.d. decreto fiscale) ed è in vigore dal 1° luglio 2020. Dopo la parentesi Covid, quando l’agevolazione copriva il 100% delle spese, oggi il rimborso ammonta al 30% delle commissioni pagate per le transazioni con carta di credito, debito o altri strumenti digitali.
È bene, però, segnalare che non tutti possono beneficiarne. Il Bonus POS, infatti, spetta solo a imprenditori e professionisti che, nell’anno precedente, hanno dichiarato ricavi o compensi fino a 400.000 euro.

Come ottenere il credito d’imposta
Il credito maturato può essere utilizzato in compensazione già dal mese successivo a quello della spesa. Per farlo, bisogna compilare il modello F24, inserendo il codice tributo 6916 nella sezione “Erario” e nella colonna “importi a credito compensati”. In caso di eventuale restituzione, invece, si usa la colonna “importi a debito versati”.

Cosa indicare nella dichiarazione dei redditi
Anche il credito POS deve comparire nella dichiarazione dei redditi. Gli importi vanno riportati nel modello Redditi e precisamente:

  • nel quadro RU, con il codice “H3”;
  • nei righi RU5, RU6 e RU12 per indicare l’importo maturato, utilizzato e residuo;
  • nel rigo RS401, con il “codice aiuto 58”.

Questo credito rientra nel regime “de minimis previsto dall’U.E., che consente agli Stati membri dell'Unione Europea di concedere aiuti economici alle imprese in modo rapido, senza dover attendere il via libera preventivo della Commissione Europea.
Esso costituisce una deroga all’art. 87 del Trattato sull’Unione Europea (TUE), che sancisce il divieto di aiuti di Stato. Tuttavia, tale regime concerne solamente piccoli “aiuti di Stato” che non vanno a incidere sulla regolarità del mercato europeo. Infatti, il limite massimo di fondi ottenibili in regime de minimis è pari a 300.000 euro nell’arco di tre anni (come modificato dal 1° gennaio 2024, visto che prima il limite era fissato a 200.000 euro).

Comunicazioni e adempimenti: cosa devono fare i gestori POS
Le aziende che forniscono servizi di pagamento con POS devono comunicare all’Agenzia delle Entrate i dati delle transazioni entro il giorno 20 del mese successivo. Devono essere trasmessi, tra gli altri, il codice fiscale dell’esercente, il mese e anno di riferimento, il numero totale delle operazioni e l’ammontare dei costi fissi legati al servizio.
Queste informazioni vengono poi inviate anche agli esercenti, che così possono conoscere con precisione gli importi su cui calcolare il bonus fiscale.


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