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Figlia studentessa fuori sede: il padre divorziato deve pagare le spese per l'università?

Famiglia - -
Figlia studentessa fuori sede: il padre divorziato deve pagare le spese per l'università?
In caso di divorzio, chi paga le spese universitarie della figlia, oltretutto fuori sede? La risposta della Cassazione
Con l'ordinanza n. 15229/2023, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla spinosa questione della divisione, tra genitori separati o divorziati, delle spese straordinarie, cioè non comprese nell'assegno di mantenimento versato ogni mese da un genitore per le esigenze di vita del figlio.
Di questa problematica, che nella pratica si presenta molto spesso ed è causa di frequenti discussioni tra genitori, ci eravamo occupati proprio in un recente articolo (Separazione e divorzio: come si dividono le spese universitarie dei figli?).
In particolare, in quell'occasione ricordavamo che le spese cosiddette extra si dividono in spese "obbligatorie", che quindi vanno suddivise tra i genitori anche in mancanza di accordo tra loro, e spese che, invece, per essere suddivise tra mamma e papà devono essere state concordate preventivamente. Non sempre, però, questa divisione è chiara, come vedremo fra poco.


Tornando al caso di cui ci stiamo occupando, a richiedere l'intervento della Suprema Corte era stato un padre divorziato, che aveva proposto ricorso per cassazione contro la decisione della Corte d'Appello.
In particolare, i giudici di secondo grado avevano stabilito che l'uomo fosse obbligato a pagare il 50% delle spese universitarie della figlia.
Si trattava di spese piuttosto alte, dal momento che la figlia frequentava una famosa università privata del Nord Italia, e considerando che la ragazza era fuori sede, con l'inevitabile aumento di costi per l'alloggio.


Il padre contestava la decisione, poiché - sosteneva - non aveva approvato tali scelte ed anzi si era mostrato contrario, proprio perché, per le sue condizioni economiche, non poteva permettersi di sostenere costi così alti.
Invece, secondo la Corte d'Appello, le spese per le tasse universitarie e per l'alloggio dovevano essere divise al 50% tra i genitori.


I giudici di secondo grado basavano la propria decisione sul fatto che la scelta di tale università era stata fatta, a loro avviso, nell'interesse della figlia, che aveva un brillante percorso di studi.
Inoltre, sempre secondo la Corte d'Appello, il padre non aveva provato di essere effettivamente impossibilitato a pagare la metà delle spese universitarie della figlia.
La Corte di Cassazione ha dato ragione al padre.
Infatti, secondo la Suprema Corte, la Corte d'Appello, per decidere sulla divisione delle spese tra i genitori, avrebbe dovuto compiere una specifica valutazione delle spese stesse.
In particolare, la Cassazione ha affermato che, se non c'è preventivo accordo tra i genitori sulla spesa e se uno dei due rifiuta di contribuire, o di rimborsare i costi anticipati dall'alltro, il giudice di merito ha il dovere di verificare che le spese corrispondano all'interesse del figlio.
Occorre dunque valutare l'entità della spesa in rapporto alla sua utilità e alla sua sostenibilità (rispetto alle condizioni economiche dei genitori).

Invece, secondo la Cassazione, ferma restando l'utilità per la figlia del percorso universitario che aveva scelto, la Corte di Appello non aveva effettuato quella specifica valutazione delle spese, che non erano state quantificate neppure in linea di massima.
Inoltre la Corte di merito non aveva verificato in concreto se il padre avesse effettivamente la capacità di sostenere il 50% delle spese in questione; ad esempio, non aveva preso in considerazione la possibilità dell'uno o dell'altro genitore di usufruire eventualmente di sgravi o detrazioni fiscali e simili, in modo da poter alleggerire il peso dei costi (sicuramente maggiori rispetto alla scelta di una università pubblica).
In altri termini, la Corte di Appello aveva deciso sulla base di valutazioni astratte e non di una analisi concreta dei costi.


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