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Tribunale Ascoli Piceno, sent. n° 1069 del 29.09.2015 – Est. Annalisa Giusti

Parte attrice ha, poi, eccepito la nullità della clausola di determinazione degli interessi ultralegali difettando la specifica indicazione dell’effettivo costo da sostenere da parte del correntista, essendo indicato nel contratto in atto solo genericamente il tasso creditore (nella misura dello O,125%) ed il tasso debitore (nella misura del 13.75 %), senza che venga specificato il Taeg che è il vero costo che il cliente sopporta per l’erogazione del credito.

In particolare, sul punto, è noto che, nell’ambito del T.A.E.G. dell’operazione, rientrano non solo gli interessi corrispettivi collegati all’erogazione del credito, ma tutte le spese comunque collegate all’erogazione del credito, ad eccezione di imposte e tasse.

Quindi vi rientrano, ad esempio, le spese di istruttoria, le spese collegate alle polizze assicurative (che assai spesso le banche fanno sottoscrivere in relazione a contratti di mutuo o di prestiti personali), le spese per l’invio della documentazione periodica inerente al rapporto di credito, le spese per l’incasso delle singole rate: in sostanza, tutto ciò che è comunque collegato alla concessione di credito da parte della Banca o della Finanziaria.

Questi costi devono essere chiaramente indicati alla clientela, come testualmente previsto dall’art 117, 4° comma del Testo Unico Bancario (T.U.B.) che prescrive testualmente “I contratti indicano il tasso di interesse ed ogni altro prezzo e condizione praticati” e per “tasso di interesse” il Testo Unico Bancario intende non un tasso qualsiasi, ma il tasso di interesse applicato proprio a quel determinato rapporto creditizio che viene in esame.

Orbene, la mera indicazione del solo T.A.N., ossia il Tasso Annuo Nominale, equivale all’indicazione del Tasso annuo relativo all’interesse corrispettivo, senza tenere conto della capitalizzazione infrannuale (solitamente trimestrale) dell’interesse e di tutte le ulteriori spese collegate al credito, che sono state sopra accennate, con la conseguenza che detta mancata chiara indicazione del vero costo che il Cliente sopporta per l’erogazione del credito (e, quindi, per un contratto di mutuo, o prestito personale, o affidamento in conto corrente ecc.) importa il ricalcolo degli interessi secondo sostitutivo di cui all’art. 117T.U. n. 385/1993.

Né può sostenersi, come fatto dalla convenuta, la legittimità di detti tassi in virtù delle variazioni contrattuali susseguitesi nel tempo ed a cui la banca era legittimata in considerazione dello jus variandi alla stessa attribuito. Invero, una variazione legittima di un tasso di interesse presuppone la validità dell’originario tasso di interesse “previsto nei contratti di durata” oggetto della variazione, posto che, intanto, un tasso di interesse originario può essere legittimamente ed unilateralmente variato in quanto quel tasso originario fosse valido e come tale produttivo di effetti tra le parti, e ciò in virtù del principio generale, recepito dal nostro ordinamento, secondo cui “quod nullum est, nullum producit effectum” (cfr. per tutte da ultimo Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4015 del 21/02/2007).

È noto, altresì, il generale principio normativo per cui “il contratto nullo non può essere convalidato se la legge non dispone diversamente” (art. 1423 c.c.), onde giammai una variazione unilaterale di una originaria clausola nulla avrebbe potuto sanare quella invalidità originaria, così come è parimenti noto che l’esecuzione spontanea del contratto da parte dei contraenti non ne sana la nullità (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8993 del 05/06/2003; Cass. N. 11156 del 1994).

Inoltre è opportuno ricordare come in tutti i suesposti casi di nullità del tasso di interesse, la conoscenza successiva del saggio applicato (nella specie, attraverso l°invio degli estratti conto) non varrebbe a sanare l’originario vizio di nullità della pattuizione, per carenza del requisito della determinabilità, la cui esistenza l’art. 1346 cod. civ. esige “a priori”, al punto che non può essere individuato successivamente, tanto più quando il saggio non sia detenninato da entrambe le parti ma da una di esse, che l’abbia portato a conoscenza dell’altra, attraverso documenti che abbiano il fine esclusivo di fomire l’informazione delle operazioni periodicamente contabilizzate e non anche di contenere proposte contrattuali, capaci di assumere dignità di patto in difetto di espresso dissenso (cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 14684 del 02/10/2003; Cass. 1 febbraio 2002 n. 1287).

Da ciò discende la nullità ex art. 1346 c.c./1284 c.c della clausola di determinazione degli interessi (cfr. la citata Cass. Sentenza n. 4095 del 25/02/2005; per il principio della nullità delle clausole di pattuizione di interessi ultralegali prive di “criteri sicuramente ed obiettivamente rilevabili per la determinazione del tasso di interesse ultralegale”; cfr. Cass. Sent. N. 22898/2005, in motivazione).

Da ciò deriva che, fino alla già menzionata rinegoziazione dei tassi di interesse awenuta, come documentato dalla banca con decorrenza dal 9.7.2009, al rapporto di conto corrente andranno applicati gli interessi al tasso previsto ex art 117 TUB.

Va specificato, al riguardo, ai fini dell’individuazione dei tassi sostitutivi di cui all’art 177 tub, che il significato delle espressioni “operazioni attive” (per le quali si applica il tasso nominale minimo dei buoni ordinari del Tesoro ) e “operazioni passive” (per le quali si applica il tasso nominale massimo dei buoni ordinari del Tesoro) va inteso con riferimento alla posizione della Banca, per cui sono operazioni attive quelle di erogazione del credito e sono passive quelle di raccolta del risparmio.

Per quanto riguarda i saldi del conto corrente a debito del cliente, dunque, va applicato il “tasso nominale minimo”: tale interpretazione e, del resto, conforme alla natura sanzionatoria della norma, visto che la sostituzione del tasso consegue alla nullità della clausola predisposta dalla banca che lo aveva stabilito, ( cfr in tal senso Trib. Monza, 4.2.1999, in id. 1999, I, 1340; Trib. Roma, 19.2.1998 id. 1998, 1, 2998 e Trib. Bari, ord. 18.7.2002).

Parte attrice ha poi dedotto l’illegittimità dell’addebito delle cd valute fittizie.

La giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 2545/72) ha in passato ritenuto, in via generale, che debba essere considerata soltanto la “data” di ciascuna operazione e non già la “valuta”, posto che, ai sensi dell’art. l852 c.c., il correntista può disporre in qualsiasi momento delle somme risultanti a suo credito dal conto.

In ossequio a tale orientamento giurisprudenziale si è, quindi, sostenuto che, per quanto riguarda i prelevamenti, si deve riportare la valuta corrispondente al giorno del pagamento dell’assegno, ovvero del giorno in cui la banca perde effettivamente la disponibilità del denaro; mentre, per quanto riguarda i versamenti, si riporta la valuta corrispondente al giorno in cui la banca acquista effettivamente la disponibilità del denaro (sul punto, si vedano Cass. n. 3507/1989; Cass. n. 131 43/2002).

La materia è stata, in parte, disciplinata dall’art. 120 del d.lgs. n. 385/1993, in base al quale gli interessi sui versamenti presso una banca di denaro, di assegni circolari emessi dalla stessa banca e di assegni bancari tratti sulla stessa succursale presso la quale viene effettuato il versamento sono conteggiati con la valuta del giomo in cui è effettuato il versamento e sono dovuti fino a quello del prelevamento.

In generale, deve, quindi, ritenersi che la mancata regolamentazione pattizia del calcolo delle valute comporta che, nel rapporto dare avere operante tra le parti, si debba tenere conto solo della valuta effettiva – che fa riferimento alla data del giorno in cui la banca acquista o perde la disponibilità giuridica delle somme versate o prelevate _ e non di quella fittizia – che risulta dall’aggiunta o dalla sottrazione di un certo numero di giorni alla valuta effettiva.

L’applicazione di interessi per valute, fittiziamente appostate, deve, pertanto, ritenersi indebito se operato in difetto di specifica pattuizione scritta al riguardo e, in ogni caso, in violazione del disposto dell’art 120 d.lgs. n. 385/1993.

Orbene, nel caso in esame, all’art 7 del contratto di conto corrente, sono disciplinate in maniera alquanto generica e con riferimento sempre “al modulo allegato” non prodotto agli atti alcune delle modalità di calcolo delle valute, di talchè non può dirsi che vi sia stata una corretta determinazione pattizia dei rapporti banca- cliente sul punto, pattuizione che è, invece, intervenuta (all 4 al fascicolo i parte convenuta) con decorrenza dal 1.2.2002.

Il rapporto di conto corrente per cui è causa deve, pertanto, essere ricostruito escludendo fino a detta data (1.2.2002) le valute fittizie applicate dalla banca in difetto di espressa pattuizione. Analoghe considerazioni devono trarsi in relazione alle spese, oneri e competenze (quali ad esempio quelle relative alla tenuta conto, invio di comunicazioni e quant’altro) conteggiati dalla banca e non espressamente pattuite con il cliente sempre sino al 1.2.2002, atteso che, proprio in difetto di detta pattuizione, le stesse non potranno dirsi correttamente applicate.

Il rapporto di conto corrente di cui trattasi andrà, pertanto, epurato delle somme a tal fine addebitate al cliente.

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