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Tribunale di Rimini, sent. n° 1398 dell’11.11.2015 – Est. Dario Bernardi

L’opposizione è fondata, per le ragioni che seguono. La banca, nella presente sede di opposizione, non ha prodotto l’integrale degli estratti conto, scalari compresi. Il primo estratto conto (al 90.9.2004, ossia dopo oltre 2 anni di operatività) reca il saldo del trimestre precedente (30.6.2004) pari ad € 25.224,90 in dare. Non valgono certo a supplire tale mancata produzione la documentazione che la banca ha prodotto in sede di comparsa di costituzione e rappresentata da sedicenti “liste movimenti” (stampata il 28.2.2014 e riportante alla prima scritturazione un saldo in dare al 17.7.2002 di € 15.494,00) e da documentazione interna qualificata quale “scalari”. Si tratta, in entrambi i casi, di documenti dichiaratamente diversi dagli estratti conto, oggetto di formazione incerta, mai comunicati al correntista e dallo stesso sonoramente contestati in questa sede. Dunque, a tutto voler concedere, il saldo del conto corrente, al fine di accertare il credito della banca, dovrebbe essere determinato a decorrere dal primo estratto conto depositato agli atti, mediante un riconteggio secondo il parametro di partenza del “saldo zero”, ciò che sanziona la mancanza di prova in relazione al credito afferente il periodo pregresso e non documentato dall’istituto di credito. Tale criterio, peraltro, nemmeno potrebbe essere utilizzabile nel caso di specie, in quanto, l’esistenza di una pattuizione usuraria (come si dirà subito innanzi) esclude tale possibilità, rendendo ciò – ossia l’esistenza di voci di indebito oggetto di storno in favore del cliente che tuttavia non possono essere determinate a cagione della mancata documentazione da parte della banca della storia del rapporto – radicalmente illiquido il credito ingiunto (non potendosi essenzialmente avere riscontro dell’incidenza dell’applicazione, nel caso di specie, della previsione usuraria, sul credito ingiunto). Ciò risulta ben chiaro in giurisprudenza di legittimità. Il principio è affermato recentemente e in modo chiarissimo dalla Suprema Corte con la sentenza n. 21466/2013: “…Nel determinare l’importo dovuto dal ricorrente, alla luce dell’intervenuta dichiarazione di nullità delle clausole del contratto di conto corrente che prevedevano la corresponsione degli interessi in misura superiore a quella legale e la capitalizzazione trimestrale degli interessi, la Corte territoriale ha dato atto dell’inutilità della rinnovazione della c.t.u. espletata in primo grado, in considerazione della mancata produzione della documentazione contabile relativa allo svolgimento del rapporto, aggiungendo che la mera indicazione del saldo che il conto presentava alla data di chiusura, accompagnata da riscontri documentali relativi ai soli trimestri immediatamente anteriori, non avrebbe in alcun modo consentito di ricostruire lo svolgimento del rapporto. Ciò nonostante, essa ha ritenuto di poter confermare l’accertamento della posizione debitoria dell’appellante compiuto dal Tribunale sulla base della documentazione prodotta e mediante l’applicazione di criteri logico-presuntivi, con l’introduzione soltanto di un ulteriore correttivo in diminuzione per effetto della dichiarazione d’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degl’interessi, osservando che l’appellante non aveva sollevato specifici rilievi in ordine all’intervenuto adempimento dell’onere probatorio da parte della ricorrente, ma si era limitato a contestare l’applicazione degl’interessi ultralegali anatocistici. Tale iter argomentativo, oltre a risultare intrinsecamente contraddittorio, in quanto fondato su proposizioni logicamente incompatibili, costituite rispettivamente dall’impossibilità di procedere alla ricostruzione dell’andamento del conto sulla base della documentazione prodotta e dall’assunzione della stessa quale termine di riferimento per l’accertamento del credito, si pone in contrasto con l’elementare considerazione, fatta propria da questa Corte, secondo cui, una volta esclusa la validità della clausola in base alla quale sono stati calcolati gl’interessi, soltanto la produzione degli estratti conto a partire dalla data di apertura del conto corrente consente di pervenire, attraverso l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, alla determinazione del credito della banca, sempre che la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dagl’interessi non dovuti. Allo stesso risultato non si può pervenire sulla base del saldo registrato alla data di chiusura del conto e della documentazione relativa all’ultimo periodo del rapporto, dal momento che quest’ultima non consente di verificare gli importi addebitati nei periodi precedenti per operazioni passive e quelli relativi agl’interessi, la cui iscrizione nel conto ha condotto alla determinazione dell’importo che costituisce la base di computo per il periodo successivo (cfr. Cass., Sez. 1^, 25 novembre 2010, n. 23974; 10 maggio 2007, n. 10692). E’ irrilevante, a tal fine, che il saldo iniziale risultante dalla documentazione relativa all’ultimo periodo corrisponda a quello finale riportato negli estratti conto relativi ai periodi precedenti, dei quali non sia stata dedotta l’avvenuta contestazione da parte del correntista, dal momento che, ai sensi dell’art. 1832 c.c., la mancata contestazione dell’estratto conto e la connessa implicita approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale, nonchè la verità contabile, storica e di fatto delle operazioni annotate, ma non impediscono la formulazione di censure concernenti la validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti (cfr. tra le più recenti, Cass., Sez. 1^, 26 maggio 2011, n. 11626; 19 marzo 2007, n. 6514; 18 maggio 2006, n. 11749). L’accertamento della nullità delle clausole contrattuali che pongono a carico del correntista l’obbligo di corrispondere, sugl’importi di volta in volta risultanti a suo debito, gl’interessi ad un tasso superiore a quello legale, prevedendone la capitalizzazione periodica, impone pertanto di procedere alla rideterminazione del saldo finale del conto mediante la ricostruzione dell’intero andamento del rapporto, sulla base delle condizioni ritenute applicabili e della documentazione contabile la cui produzione è a carico della banca. Nessun rilievo, nella specie, può assumere la circostanza che il correntista non avesse sollevato rilievi in ordine alla documentazione prodotta nel procedimento monitorio, non risultando tale comportamento processuale di per sè sufficiente a far ritenere provato il credito, in presenza delle eccezioni sollevate in ordine alla validità delle pattuizioni relative agl’interessi e dell’onere probatorio gravante sulla Banca creditrice. E’ noto infatti che l’emissione del decreto ingiuntivo non determina alcuna inversione nella posizione delle parti, configurandosi la successiva fase di opposizione come un ordinario giudizio di cognizione, nell’ambito del quale trovano applicazione le consuete regole di ripartizione dell’onere della prova, con la conseguenza che il ricorrente, pur assumendo formalmente la posizione di convenuto, riveste la qualità di attore in senso sostanziale, ed è pertanto tenuto a fornire la piena prova del credito azionato nella fase a cognizione sommaria (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 6^, 11 marzo 2011, n. 5915; Cass., Sez. 3^, 3 marzo 2009, n. 5071; 17 novembre 2003, n. 17371)”. Nello stesso senso Cass. n. 21597/2013 secondo la quale “…Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che (come nella specie) sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca deve – quale attore in senso sostanziale – dimostrare l’entità del proprio credito mediante la produzione degli estratti del conto corrente a partire dall’apertura del conto stesso (anche se risalente ad oltre un decennio anteriore) onde consentire, attraverso l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere con applicazione del tasso legale, di determinare il credito stesso, ove sussistente (cfr. ex multis: n. 10692/07; n. 17679/09; n. 23974/10; n. 1842/11). Non vale dunque opporre che, nella specie, la società correntista ha contestato con l’opposizione la somma di cui all’ingiunzione con riguardo alla sola determinazione degli interessi in misura extralegale e non anche al capitale, corrispondente al saldo passivo del conto alla data di emissione del decreto ingiuntivo: tale saldo infatti, essendo la risultante di tutte le contabilizzazioni anteriori del conto con applicazione di interessi extralegali illegittimi, non può che essere posto nel nulla dalla dichiarata illegittimità di tali interessi applicati dalla banca, alla quale consegue per l’appunto la necessità di ricostruire integralmente l’andamento del conto corrente con applicazione del tasso legale. Ricostruzione integrale che non può che essere condotta – secondo quanto anche il consulente d’ufficio ha nel giudizio di primo grado rappresentato – sulla base di dati contabili certi in ordine alle operazioni registrate sul conto corrente nel corso del suo svolgimento, non potendo essere validamente surrogata da criteri presuntivi o approssimativi quali quelli utilizzati nella specie dai giudici di merito, oltretutto utilizzando erroneamente quale dato basilare quel saldo del conto alla data del decreto sul quale, come detto, non può farsi legittimo affidamento. Nè, in un contesto siffatto, può attribuirsi alla parte convenuta (in senso sostanziale) un onere, quale quello cui ha fatto riferimento la Corte di merito, di proporre “una qualche alternativa” al fine di pervenire all’accertamento di un suo debito che la controparte soltanto ha l’onere di provare nei suoi esatti termini. 3. La sentenza impugnata è dunque cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto, per mancanza di prova del credito preteso, della domanda di condanna proposta dalla banca con il decreto ingiuntivo”. Conforme, ancora, Cass. n. 23974/2010 “…Tale affermazione è del tutto conforme all’orientamento espresso da questa Corte secondo cui “una volta esclusa la validità della clausola sulla cui base sono stati calcolati gli interessi, soltanto la produzione degli estratti a partire dall’apertura del conto corrente – considerato che, in virtù dell’unitarietà del rapporto, da tale momento decorre la prescrizione del credito di restituzione per somme indebitamente trattenute dalla banca a titolo di interessi (Cass. 9 aprile 1984, n. 2262) – consente, attraverso una integrale ricostruzione del dare e dell’avere con l’applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca, semprechè la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dalla capitalizzazione degli interessi non dovuti. Allo stesso risultato, evidentemente, non si può pervenire con la prova del saldo, comprensivo di capitali ed interessi, al momento della chiusura del conto. Infatti, tale saldo non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell’ultimo periodo di contabilizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli interessi, ma a sua volta discende da una base di computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi” (Cass. 10692/07 Cass. 16679/09)”. Ancora, Cass. n. 16679/2009 secondo la quale “…Il Tribunale ha rilevato che, ritenuta la nullità della clausola relativa all’ammontare degli interessi, il saldo richiesto dalla banca non era dovuto, atteso che esso inglobava gli interessi extralegali. Non era possibile il ricalcolo del credito per capitale e interessi al tasso legale, secondo la regola stabilita dall’art. 1284 c.c., perchè difettava la prova dell’andamento del conto per l’intero periodo di svolgimento del rapporto di conto corrente. Non era possibile ritenere la banca esonerata dall’onere della prova in considerazione del venir meno dell’obbligo di conservazione della documentazione contabile oltre il termine decennale, essendo onere della banca, quale attore in senso sostanziale nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, fornire la prova del credito azionato. Con ciò il Tribunale ha fatto corretta applicazione dei principi in tema di onere della prova, effettivamente a nulla rilevando, a fronte di tale onere, la circostanza che la distruzione della documentazione oltre il termine decennale fosse condotta del tutto lecita. Per quanto poi concerne l’affermazione che gli estratti conto non erano stati contestati e che pertanto essi dovevano ritenersi approvati ex art. 1832 c.c., con la conseguenza che i saldi da essi risultanti dovevano ritenersi incontestati, va sottolineato da un lato che la ricorrente non ha neppure allegato che tale deduzione fosse stata svolta nel giudizio di merito e dall’altro che, come questa Corte ha già affermato, soltanto la produzione degli estratti a partire dall’apertura del conto stesso consente, attraverso l’integrale ricostruzione del dare e dell’avere con applicazione del tasso legale, di determinare il credito della banca, semprechè la stessa non risulti addirittura debitrice, una volta depurato il conto dagli interessi non dovuti (Cass. 10.5.2007, n. 10692)”. I precedenti rappresentati da Cass. n. 16679/2009 e n. 21597/2013 sono chiarissimi (anche in relazione al fatto esaminato) nell’escludere qualsiasi ipotesi di calcolo alternativo (p.e. muovendo da una ricostruzione “a saldo zero” a decorrere da una certa data, ossia dal primo estratto conto prodotto dalla banca e relativo ad un periodo intermedio del rapporto) e ciò proprio in quanto l’incognita rappresentata dalle scritturazioni ignote (ma certamente macchiate dall’illiceità rappresentata dall’applicazione di meccanismi illeciti) rende impossibile stabilire il saldo del conto. Nel caso di specie la banca si è limitata alla produzione di parte degli estratti conto relativa agli ultimi 10 anni (come detto al riguardo non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito). Ciò impedisce evidentemente di accertare il saldo del conto corrente per cui è causa, con la conseguenza che il decreto ingiuntivo deve essere revocato e alcuna somma a tale titolo può essere richiesta. Pertanto, in applicazione di entrambi i criteri appena evidenziati (e, dunque, anche volendo benevolmente – ciò che non è tuttavia in alcun modo concesso – fare applicazione del criterio del “saldo zero” illustrato per primo), porta ad escludere la prova dell’esistenza del credito ingiunto (infatti, è sufficiente considerare come il saldo non documentato, ossia al 30.6.2004 sia ampiamente superiore al saldo ingiunto, per ritenere, senza necessità di costosi e defatiganti incombenti tecnici istruttori – in cui costo graverebbe sulla banca che ha dato causa alla necessità della C.T.U. – che il saldo risultante al 19.9.2013 sia stato completamente eroso dai 25.224,90 al 30.6.2004 e che dovrebbero essere stornati dal riconteggio: si evidenzia che tutti gli interessi e le commissioni sono state determinate sulla base di tale iniziale importante saldo negativo del conto e quindi, oltre allo storno del capitale, dovrebbe considerarsi l’incidenza determinante dell’assenza del capitale in questione quale base per la successiva applicazione degli interessi e delle spese del conto). Circa l’usura, si osserva come dall’esame del contratto di conto corrente risulti la previsione (normativa) di un tasso di interessi extra fido in misura pacificamente superiore al tasso soglia previsto per le aperture di credito superiori ad € 5.000,00 alla data della del contratto di conto corrente (nel quale cioè sono previsti tali tassi), come evidenziato dagli opponenti in atto di citazione. Ciò rende evidente la nullità di tale previsione per violazione della normativa sull’usura. La nullità deve essere valutata nel momento della pattuizione (la quale si rinviene nel contratto di conto corrente) e non appare certamente possibile sminuire la gravità della violazione facendo riferimento all’assenza al momento della delle condizioni usurarie di un’apertura di credito formalizzata. Come detto infatti nell’ordinanza di sospensione della provvisoria esecutività, non può essere esclusa l’esistenza di un affidamento di fatto (il cui accertamento è reso impossibile dalla mancata produzione dei primi estratti conto) ma anche in caso di mancata concessione dell’affidamento di fatto la pattuizione deve essere oggetto della sanzione specificamente prevista dalla legge, ossia la nullità. Risulta del tutto arbitraria l’interpretazione che vuole fare riferimento, in assenza di un’apertura di credito, alla categoria dell’apertura di credito sino ad € 5.000,00 (non è chiaro perché una previsione normativa di un tasso connesso alla concessione di credito senza limiti – ed anzi riferito a tutto il possibile sconfinamento dall’ambito di un fido, ossia l’extra fido – dovrebbe essere paragonato al tasso soglia previsto per un’apertura di credito sino a 5.000,00 euro; peraltro trattandosi di tasso extra fido ciò risulta vieppiù insostenibile in fatto, poiché, al fine di ritenere astrattamente sostenibile quanto ritenuto in diritto dall’opposta, dovrebbe ipotizzarsi non solo un fido confinato entro i 5.000,00 euro, ma addirittura in misura tale da fare residuare uno spazio applicativo entro i 5.000,00 euro anche all’extra fido). Dunque, la banca non ha provato il proprio credito, con conseguente revoca del decreto opposto e rigetto della domanda (sostanziale) di accertamento e di condanna della banca.

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