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Segnalo il provvedimento che ho ottenuto presso il Tribunale di Lanciano e massimato come segue

Tribunale collegiale di Lanciano, ord. del 12 febbraio 2018, Pres. Rel. Cordisco

La segnalazione a sofferenza di un’impresa in Centrali Rischi della Banca d’Italia deve essere preceduta dalla comunicazione di preavviso, il cui onere di avvenuta effettuazione grava sul segnalante.

L’obbligo di preavviso della segnalazione si rinviene dalle previsioni di cui all’art. 125 comma 3 TUB, di cui all’art. 4 comma 7 del Codice in materia di protezione dei dati personali – Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità nei pagamenti, e di cui alla Circolare 139 in data 11.2.1991 della Banca d’Italia; in caso di segnalazione a sofferenza, il riferimento deve essere inteso al capitolo 2, sezione II, paragrafo 1.5 della circolare 139/1991, la quale prevede che “gli intermediari devono informare per iscritto il cliente e gli eventuali coobbligati (garanti, soci illimitatamente responsabili) la prima volta che lo segnalano a sofferenza”, pur se “tale obbligo non configura in alcun modo una richiesta di consenso all’interessato per il trattamento dei suoi dati”.

L’informativa obbligatoria non può che essere intesa come preventiva, tanto è vero che la disposizione chiarisce che essa non possa essere configurata quale richiesta di consenso, essendo piuttosto finalizzata a consentire al cliente di approntare i possibili rimedi, in vista del rientro dalla propria obbligazione.

Come anche chiarito da Cass. n.21428/07, l’appostazione di un credito a sofferenza non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito ma presuppone l’esercizio di una valutazione e di una ponderazione complessa da parte della banca dalla quale si evinca lo stato di difficoltà economica e finanziaria in cui versa il cliente e la riscossione del credito a rischio, con riferimento a tutti i dati sintomatici traibili dalla liquidità del soggetto, la sua capacità produttiva e reddituale, la situazione di mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del credito, fermo restando che non possono tali elementi integrare da soli i presupposti per la segnalazione laddove la concreta situazione del cliente non crei allarme quanto alla sua generale solvibilità.

L’istituto bancario deve attentamente procedere all’istruttoria per l’accertamento della posizione di sofferenza con la diligenza di cui all’art. 1176, comma secondo, c.c., anche in considerazione del fatto che attiva tale istruttoria unilateralmente, senza contraddittorio con la parte interessata.

La condizione di insolvenza del cliente va intesa non nell’accezione recepita dall’art. 5 della legge fallimentare, bensì come situazione di difficoltà economica che rende verosimile, ma non necessariamente attuale o già attuato, il recupero coattivo, senza escludere le possibilità di rientro o ristrutturazione del debito.

È dunque illegittima la segnalazione a sofferenza quando la banca non dimostri di aver effettuato un’istruttoria nei sensi di cui sopra e con riferimento a tutti gli indici evidenziati, limitandosi, in una sorta di automatismo che certamente contraddice la ratio delle istruzioni richiamate, a verificare solo l’inadempimento del cliente che motivava il mancato pagamento del debito contestandone l’esistenza e la quantificazione.

Alla mancanza di istruttoria non può supplirsi con una valutazione effettuata ex post fondata essenzialmente sul bilancio della società, senza peraltro considerare che, in ogni caso, anche una rilevante esposizione debitoria emergente dal bilancio non potrebbe essere isolatamente considerata, dovendo, piuttosto, essere letta nel contesto di tutte le risultanze contabili nonché di altri inizi di insolvenza quali quelli sopra delineati.

Il “periculum in mora” può essere facilmente desunto da indici presuntivi, posto che la segnalazione ha proprio lo scopo di rendere edotte le banche sull’identità dei soggetti inaffidabili i quali, verosimilmente, non potranno più accedere al credito, con conseguente pregiudizio che assume il carattere dell’irreparabilità nel caso in cui la parte abbia bisogno di ricorrere a finanziamenti per lo svolgimento della propria attività imprenditoriale.

Acclarata la illegittimità della segnalazione a sofferenza, la banca va condannata affinché provveda all’immediata cancellazione del nominativo della società istante come a sofferenza nella Centrale Rischi della Banca d’Italia, con efficacia retroattiva.

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La vicenda

Una nota società operante nel bacino del Fondo Valle Alento, a mezzo dell’Avv. Dario Nardone del Foro di Pescara, citava avanti in Tribunale di Lanciano un istituto bancario primario per sentire pronunciare la natura usuraria di un contratto di finanziamento e la conseguente condanna della banca alla restituzione di tutti gli interessi pagati: difatti la Legge (art. 644, cod. pen.; art. 1815, comma 2, cod. civ.) prescrive che, in caso di contratto bancario usurario, non sono più dovuti interessi e costi sostenuti, ad eccezione delle sole imposte e tasse.

L’azienda, del tutto solida dal punto vista finanziario e patrimoniale, aveva sospeso i pagamenti essendo addirittura a credito verso la banca usuraia per tutti gli interessi già versati; senonché, durante la vertenza – che ad oggi non è ancora giunta a termine –  la banca, sorda alle rivendicazioni, invece di restituire le somme illecitamente riscosse, senza alcun preavviso o formale motivazione provvedeva a segnalare a sofferenza la società presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, provocandole l’enorme danno del non poter più accedere al credito con tutto il sistema bancario.

La segnalazione a sofferenza infatti innesca una sorta di effetto domino, poiché tutti gli istituti bancari con i quali l’azienda, segnalata come inaffidabile ed insolvente, intrattiene rapporti, revocano immediatamente le linee di credito concesse; parimenti, nessun altro istituto bancario concederà mai altro credito all’azienda segnalata.

Insomma, la segnalazione a sofferenza provocava un danno enorme alle aziende, poiché viene loro irrimediabilmente precluso l’acceso al credito con sequenziale improvvisa crisi di liquidità.

Ebbene, la società, per il tramite dell’Avv. Dario Nardone, proponeva un ricorso d’urgenza in corso di causa, sostenendo la illegittimità della segnalazione a sofferenza la quale, con tutta evidenza, era stata effettuata per ripicca ed a scopo ritorsivo, ovvero nell’intenzione di costringere la società vessata al pagamento degli interessi usurari.

Il Giudice monocratico del Tribunale di Lanciano rigettava il ricorso e l’Avv. Nardone proponeva immediato Reclamo al Collegio, una sorta di appello da esperirsi avanti il medesimo Tribunale, che però decide in composizione collegiale formata da tre Magistrati.

Il Collegio, in accoglimento di tutte le istanze dell’Avv. Nardone, ribaltava la decisione del Giudice monocratico confermando le tesi difensive ed esplicitamente affermando dei principi di diritto a tutela della clientela bancaria che saranno destinati a fare scuola.

Precisamente, il Collegio lancianese affermava che:

  • la segnalazione a sofferenza di un’impresa in Centrali Rischi della Banca d’Italia deve essere preceduta dalla comunicazione di preavviso, onde consentire al cliente di approntare i possibili rimedi, in vista del rientro dalla propria obbligazione, al fine di evitare una segnalazione tanto pregiudizievole al proprio merito creditizio;
  • l’appostazione di un credito a sofferenza non può scaturire automaticamente da un mero ritardo del cliente nel pagamento del debito, soprattutto, come nel caso in esame, quando il credito è contestato, ma presuppone l’esercizio di una valutazione complessa da parte della banca dalla quale si evinca oggettivamente lo stato di difficoltà economica e finanziaria in cui versa il cliente e la riscossione del credito a rischio, con riferimento a tutti i dati sintomatici traibili dalla liquidità del soggetto, la sua capacità produttiva e reddituale, la situazione di mercato in cui opera, l’ammontare complessivo del credito; fermo restando che non possono tali elementi integrare da soli i presupposti per la segnalazione laddove la concreta situazione del cliente non crei allarme quanto alla sua generale solvibilità;
  • la condizione di insolvenza del cliente va intesa non nell’accezione rigorosa recepita dalla legge fallimentare, bensì come situazione di difficoltà economica non transeunte che renda verosimilmente rischioso il recupero coattivo del credito;
  • acclarata la illegittimità della segnalazione a sofferenza, la banca va condannata affinché provveda all’immediata cancellazione del nominativo della società istante come a sofferenza nella Centrale Rischi della Banca d’Italia, con efficacia retroattiva, ripristinando così l’integrità del merito creditizio ingiustamente leso dalla segnalazione illecita.

Articolo de Il Centro, Redazione di Chieti, 19 febbraio 2018

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