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Tribunale di Milano, Ordinanza del 25.03.2015

A livello espositivo, deve essere premesso che: 1) con ricorso urgente ex art. 140 VIII comma del Codice del Consumo, l’Associazione Movimento Consumatori chiedeva al Tribunale di inibire, nei confronti di ING Bank N.V., la capitalizzazione degli interessi passivi maturati nell’ambito del contratto di conto corrente denominato “Conto Corrente Arancio”, previa declaratoria dell’illegittimità dell’anatocismo e della sua contrarietà agli interessi dei consumatori “ad una adeguata informazione ed ad una corretta pubblicità, all’esercizio di pratiche commerciali secondo i principi di buona fede, correttezza e lealtà, alla correttezza, trasparenza ed equità dei rapporti contrattuali”; chiedeva, inoltre, di adottare, ex art. 140 lett. b), tutte le misure idonee ad eliminare gli effetti lesivi degli illeciti, tra le quali: l’ordine di pubblicazione del provvedimento di accoglimento del ricorso sul sito internet, con la conseguente informativa in ordine al diritto a ripetere gli interessi anatocistici corrisposti e ad ottenere il ricalcolo del saldo del conto corrente, previa eliminazione di ogni addebito di interessi sugli interessi maturati dopo l’1 gennaio 2014; l’ordine di inviare una comunicazione allegata al primo estratto del conto corrente diretta ad informare tutti i consumatori che, con decorrenza 1.1.2014, era vietata ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi e che ogni correntista aveva diritto a ripetere i relativi addebiti con conseguente ricalcolo del saldo del proprio conto corrente; l’ordine di pubblicare il provvedimento di accoglimento del ricorso su almeno tre quotidiani a diffusione nazionale in dimensioni non inferiori ad una pagina, con fissazione di un termine per l’adempimento di tutti gli obblighi e previsione di una penale non inferiore ad € 1.000,00 per ogni inadempimento o per ogni giorno di ritardo. ING Bank N.V. si costituiva in giudizio eccependo, in via preliminare, la carenza di legittimazione attiva e/o di interesse ad agire dell’Associazione ricorrente e chiedendo, nel merito, il rigetto del ricorso per l’insussistenza di giusti motivi d’urgenza e del fumus boni iuris, stante la non immediata precettività dell’art. 120 TUB. Con ordinanza in data 12.1.15 il giudice di prime cure respingeva il ricorso, condannando la parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della parte resistente, stante l’insussistenza del requisito del periculum in mora. Con reclamo tempestivamente interposto, l’Associazione Movimento Consumatori chiedeva l’accoglimento delle domande formulate in primo grado, previa revoca dell’ordinanza datata 12.1.15, impugnando l’esclusione dei giusti motivi di urgenza e riproponendo le difese già svolte quanto alla legittimazione attiva ed al fumus boni iuris. ING Bank N.V. insisteva nella declaratoria di difetto di legittimazione attiva di parte ricorrente e, nel merito, chiedeva la reiezione del ricorso. All’esito dell’udienza di discussione, il Collegio osserva: 2) la legittimazione attiva dell’Associazione Movimento Consumatori rispetto al ricorso d’urgenza de quo è fondata sulla disposizione di cui all’art. 139 del Codice del Consumo, che prevede la legittimazione delle associazione dei consumatori e degli utenti inserite nell’elenco di cui all’art. 137 ad agire ai sensi dell’art. 140, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori e degli utenti nelle materie trattate dal Codice, “oltre a quanto disposto dall’art. 2” ed oltre alle ipotesi specificamente previste alle lettere a) e b) del primo comma dell’articolo in questione. Quanto al requisito soggettivo, l’inserimento dell’Associazione Movimento Consumatori nell’elenco di cui all’art. 137 è provato dal decreto del 19.12.13 prodotto dalla parte ricorrente (doc. n 2). Con riferimento alla legittimazione ad agire ex art. 140, occorre esaminare se l’azione di inibitoria della capitalizzazione degli interessi passivi applicati dalla banca resistente sul conto corrente Arancio in forza di una clausola contrattuale, di cui si assume l’illegittimità, sia riconducibile alle ipotesi contemplate dall’art. 139 e dall’art. 37, per le quali l’Associazione è legittimata ad agire ex lege, a tutela degli interessi collettivi dei consumatori. La legittimazione di cui all’art. 37 presuppone che la clausola che prevede l’anatocismo possa considerarsi clausola vessatoria, secondo quanto previsto dagli artt. 33 e seguenti. Tale assunto non è condivisibile, posto che non è ravvisabile uno squilibrio dei diritti e degli obblighi delle parti nella clausola relativa alla capitalizzazione con pari periodicità degli interessi attivi e passivi (la vessatorietà della clausola anatocistica era stata, invece, affermata dalla giurisprudenza richiamata dalla ricorrente, quando la clausola prevedeva la diversa periodicità della capitalizzazione degli interessi attivi e passivi, che determinava uno squilibrio tra le parti contrattuali); né detta clausola è sussumibile in alcuna delle ipotesi di cui all’art. 33. Quanto all’art. 139, nella parte in cui prevede la legittimazione ad agire delle associazioni di cui all’art. 137 nei casi previsti dall’art. 2, il Collegio rileva, in primo luogo, che tale ultima disposizione riconosce ai consumatori ed agli utenti, tra l’altro, il diritto “alla correttezza, alla trasparenza ed all’equità nei rapporti contrattuali” ( lett. e). Ora, l’applicazione della clausola anatocistica – che parte ricorrente assume essere divenuta illegittima a seguito della novella dell’art. 120 TUB – attiene specificatamente alla “correttezza … dei rapporti contrattuali”, considerato che la nozione di correttezza dei rapporti contrattuali comprende tutte quelle condotte contrarie alla buona fede, tra cui è annoverata anche l’applicazione di una clausola contrattuale divenuta illegittima per intervento del legislatore. Né è condivisibile la prospettazione di ING. Bank N.V., che esclude la legittimazione attiva della ricorrente sul presupposto dell’inidoneità di una disposizione nulla a violare il diritto alla correttezza dei rapporti contrattuali. Ed, invero, il dovere di correttezza e buona fede oggettiva costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale prevista dall’art. 2 Cost., che impone di comportarsi, anche a salvaguardia dell’interesse della controparte contrattuale, secondo canoni di reciproca lealtà, non espressamente tipizzati, ma enucleabili volta volta a seconda del programma contrattuale in essere. Se, quindi, la violazione di tali doveri è riscontrabile anche in assenza di una specifica disposizione normativa, a fortiori, in astratto, l’applicazione di una disposizione normativa divenuta nulla costituisce essa stessa violazione del dovere di buona fede nei termini sopra indicati. A tale proposito, i giudici di legittimità hanno osservato che “il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, espressione del dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 della Costituzione, impone a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra e costituisce un dovere giuridico autonomo a carico delle parti contrattuali, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da norme di legge; ne consegue che la sua violazione costituisce di per sé inadempimento e può comportare l’obbligo di risarcire il danno che ne sia derivato” (v. Cass. civ. n. 21250/08; v. anche Cass. civ. n. 2855/2005). Ne deriva che l’applicazione di una clausola contrattuale divenuta nulla in ragione dello ius superveniens integra una condotta senza dubbio contraria a buona fede e correttezza, in quanto consente il sorgere ed il consolidarsi di rapporti contrattuali contra ius. Per quanto concerne, poi, il carattere collettivo dell’interesse, è sufficiente osservare che la clausola in questione è inserita tra le condizioni generali del conto corrente Arancio, ossia di un conto corrente non solo rivolto ad un’indeterminata collettività, al pari dei conti correnti tradizionali, ma anche che, proprio per la caratteristica di essere online, ha un ancora maggiore grado di diffusività, tenuto conto della sempre maggiore pervasività degli strumenti informatici. Ne consegue che sussiste certamente la legittimazione attiva del Movimento Consumatori, associazione dedicata a garantire effettività al diritto alla correttezza dei rapporti contrattuali che – in ragione dell’applicazione di una clausola nulla in quanto non adeguata alla mutata disposizione legislativa in punto anatocismo – ben possono essere fonte di danni per i consumatori; essendo dato ovvio il possibile passaggio di un rapporto di conto corrente da una condizione attiva ad una condizione passiva, con conseguente addebito della clausola anatocistica superata in ragione dello ius superveniens. Né, infine, la legittimazione attiva può essere esclusa in ragione del petitum di cui al ricorso, indirizzato a colpire la disposizione normativa de qua limitatamente all’addebito di interessi passivi. Legittimamente, infatti, l’odierna ricorrente ha chiesto l’inibitoria con riferimento agli addebiti dei soli interessi passivi, come, del resto, consentito dall’art. 127 TUB, che ammette la derogabilità delle disposizioni del titolo VI “solo in senso più favorevole al cliente”, e che afferma che “le nullità previste operano soltanto a vantaggio del cliente”, in coerenza con il favor verso il consumatore nell’ambito delle condizioni contrattuali delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Deve quindi essere riconosciuta la legittimazione dell’associazione ricorrente ad agire a tutela degli interessi collettivi dei consumatori alla correttezza, intesa come legittimità, dei rapporti di conto corrente. Una volta affermata la piena legittimazione attiva dell’odierna parte ricorrente, debbono essere vagliati i presupposti attinenti al fumus boni iuris ed all’urgenza. 3) Con riguardo al fumus boni iuris, è necessario prendere le mosse dal dato normativo di cui all’art. 1, comma 629 L. n. 147/13 che così recita: “il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: a. nelle operazioni in conto corrente sia assicurata, nei confronti della clientela, la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori; b. gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale”. Ora, mentre il legislatore al punto a) ha preso in esame il conteggio degli interessi debitori e creditori, stabilendone la stessa periodicità, al punto b) ha chiarito che gli interessi così conteggiati in ogni caso non possono produrre ulteriori interessi che vanno, quindi, calcolati esclusivamente sul capitale. La disposizione in esame non può che leggersi, quindi, nel senso della rigorosa esclusione dell’anatocismo nei rapporti bancari, sulla base della mera interpretazione letterale, in forza della quale è difficile assegnare all’espressione “gli interessi periodicamente capitalizzati non possono produrre interessi ulteriori” significato diverso dall’esclusione dell’anatocismo; ciò anche alla luce della correlazione con il successivo periodo, che impone di calcolare gli interessi capitalizzati, ossia annotati in conto, esclusivamente sulla sorte capitale. In tal senso depone anche il raffronto con la precedente versione del comma 2 dell’art.120, che rimetteva al CICR di stabilire criteri e modalità “per la produzione di interessi sugli interessi scaduti”, espressione che all’art.1283 c.c. definisce l’anatocismo, e che oggi non è più riproposta nella norma in esame, che si limita a parlare di “produzione di interessi”. Tale interpretazione è peraltro coerente con la relazione di presentazione della proposta di legge alla Camera, nella quale era espressamente chiarito che la proposta di legge intendeva sancire l’illegittimità della prassi bancaria dell’anatocismo. Non solo, ma la voluntas legis è ulteriormente riscontrabile nella mancata conversione in legge dell’art. 31 D.L. n. 91/14, il quale aveva reintrodotto la legittimità dell’anatocismo bancario. Orbene, a fronte di simili risultanze, non è condivisibile l’opzione proposta dalla banca resistente, che ha escluso l’immediata precettività della norma e ne ha subordinato l’applicabilità ad un intervento di normazione secondaria ad opera del CICR. Ed, invero, gli interrogativi circa la mancata capitalizzazione, la sorte degli interessi attivi con relativa capitalizzazione, il conteggio degli interessi di mora in aggiunta alle rate già comprensive degli interessi come ad esempio nei contratti di mutuo ed in quelli di leasing (come esemplificativamente assunto dalla reclamata a pag. 12 della memoria di costituzione) sono del tutto svincolati dal paletto invalicabile imposto dal legislatore ed incentrato sull’esclusione dell’anatocismo bancario e costituiscono, per l’appunto, il terreno sul quale si misurerà l’intervento del CICR. Ed, infatti, se, certamente non può trascurarsi l’anomalia prima facie di interessi che, una volta capitalizzati, possano essere infruttuosi, vi è anche da rilevare come ben possa essere data evidenza contabile ad un saldo finale modulato separatamente con riferimento allo stato passivo o attivo del conto capitale e degli interessi maturati sullo stesso nel medesimo arco temporale, senza che questi ultimi possano essere incorporati nel primo per le operazioni contabili conseguenti: ad avviso del Collegio è, infatti, proprio in tale ambito che deve essere confinato l’intervento regolamentare del CICR, cui è assegnato lo specifico compito di esprimersi in ordine alle specifiche tecniche bancarie contabili, senza, tuttavia, disporre in termini diversi dal divieto di anatocismo, che, pertanto, è da ritenersi operante a decorrere dall’1.1.14. Né possono ricavarsi elementi di segno contrario dalla riforma dell’art. 120 TUB di cui al D.lvo n. 342/99, che rimandava a futura delibera CICR di stabilire “modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi maturati”; ciò in quanto in quel caso la norma di legge dava legittimità ad una prassi anatocistica vietata dal codice civile, sulla scorta di una granitica giurisprudenza di legittimità e di merito, con la conseguenza che non vi era alcuna urgenza nel rendere operativa con norma regolamentare una modalità di conteggio degli interessi più gravosa per il correntista. Nel caso in esame, invece, l’eliminazione legislativa dell’anatocismo è destinata ad operare nelle operazioni bancarie in corso a vantaggio del correntista e, proprio sempre e in forza del principio del favor per il consumatore di matrice comunitaria, ampiamente applicato nell’ordinamento positivo, non può una norma regolamentare procrastinare l’entrata in vigore di una simile disposizione di legge. L’esame del fumus comprende anche la necessaria verifica circa la correttezza dell’operato dell’istituto bancario odierno resistente, che, pur dopo l’entrata in vigore della legge sopra citata, ha continuato ad applicare la clausola anatocistica secondo le modalità di cui alla precedente delibera CICR del 9.2.00: ciò al fine precipuo di accertare se un simile operato possa essere considerato non scorretto alla luce della disposizione normativa citata che, sulla scorta di alcune opinioni dottrinarie, necessiterebbe di un ulteriore intervento normativo, sia pure anche solo in termini meramente attuativi di secondo grado. La verifica deve articolarsi su due versanti, dovendosi, da un lato, rilevare il grado di pretesa oscurità della nuova disposizione legislativa e, dall’altro, eventuali direttive impartite o circolari emanate da Banca d’Italia. Quanto al primo profilo, si osserva che la disposizione di legge, pur con un’indiscutibile ambiguità quanto al significato ed alla portata del riferimento alla capitalizzazione degli interessi di cui al punto a), è comunque chiara nell’escludere ogni forma di anatocismo, per quanto sopra detto con riguardo al punto b). Né ragionevolmente emerge una qualche forma di subordinazione logica o temporale del dato normativo ad un successivo intervento regolamentare del CICR. Quanto al secondo profilo, il Collegio osserva come nessuna circolare o raccomandazione sia stata emanata a tale proposito dalla Banca d’Italia, che, come Autorità di Vigilanza, si occupa ex art. 5 TUB, dell’osservanza delle disposizioni normative in materia di trasparenza e correttezza, mediante richiesta di documentazione, ispezioni, monitoraggio dei siti internet, interventi di sensibilizzazione e richiami, irrogazione di sanzioni. A tale proposito, il Collegio è a conoscenza di un parere espresso dalla Banca d’Italia e comparso esclusivamente sulla rivista giuridica online Il Caso.it, nel quale l’Autorità di Vigilanza, in risposta ad un esposto del 17.10.04, avrebbe affermato che, poiché la legge n. 147/13 ha riformulato parzialmente l’art. 120 TUB, “le modalità ed i criteri di attuazione del nuovo quadro normativo sono attualmente in via di definizione”. Ora, è significativo puntualizzare, in primo luogo, che il predetto parere – si ribadisce consultabile solo sulla citata rivista e non sul sito istituzionale di Banca d’Italia – non ha carattere di raccomandazione generale, non essendo stato diffuso ed essendo rivolto solo all’interlocutore che aveva inoltrato specifica richiesta; in secondo luogo, che dal contenuto di tale affermazione, per come riportata, non emerge affatto alcuna indicazione circa la permanenza in vigore della clausola anatocistica, come disegnata dalla delibera CICR del 9.2.00. Una volta eliminato ogni plausibile intervento di raccomandazione dell’Organo di Vigilanza – alla luce del quale potrebbe essere diversa la valutazione circa la non scorrettezza della condotta della banca – è agevole concludere come, sulla scorta della mera interpretazione letterale del dato normativo de quo, gli istituti di credito ben possano escludere dalle condizioni economiche qualsiasi clausola anatocistica, sia per i contratti in essere, sia per quelli ancora da stipulare. E’, difatti, ragionevolmente esigibile, da parte di un operatore professionale qualificato come un istituto di credito, dotato di uffici legislativi interni e direzionali, una condotta prudenziale, che tenga conto di tutti i criteri ermeneutici ampiamente a disposizione; condotta prudenziale che è, oltre tutto, in linea con il favor per il consumatore, come ormai introdotto da oltre un ventennio di disposizioni legislative e regolamentari anche nel settore bancario. La scelta, invece, di mantenere in essere una disposizione contrattuale superata a seguito dell’intervento abrogativo del legislatore concreta quella condotta omissiva che, proprio per le competenze specialistiche esigibili dall’operatore professionale, è contraria alla correttezza dovuta nei rapporti contrattuali ed evidenziata proprio dal disallineamento rispetto al testo di legge. Ad avviso del Collegio, pertanto, non sussistendo alcuna giustificazione della condotta omissiva dell’odierna resistente, non può concludersi che per la scorrettezza dell’operato di ING. Bank N.V.. Da ciò deriva il positivo riscontro del fumus boni iuris, costituito dalla violazione del dovere costituzionalmente rilevante di operare secondo correttezza. 4) Quanto al requisito dell’urgenza, il Collegio osserva che significativamente l’VIII comma dell’art. 140 del Codice del Consumo così statuisce: “nei casi in cui ricorrono giusti motivi d’urgenza, l’azione inibitoria si svolge a norma degli articoli da 669 bis a 669 quaterdecies del codice di procedura civile”. Orbene, tale dicitura, distinguendosi nettamente dal “pregiudizio imminente e irreparabile” richiesto dal legislatore al fine dell’accoglimento del ricorso ex art. 700 cpc, impone all’interprete la ricerca di un contenuto diverso che dia ragione di simile differenza. Ad avviso del Collegio, i giusti motivi di urgenza di cui alla disposizione citata debbono essere letti nell’ambito della cornice europea di cui alla Direttiva 98/27/CE del 19.5.98, che ha più volte sancito la necessità di assicurare una tutela tempestiva degli interessi dei consumatori, giungendo a far coincidere l’effettività della tutela anche, tra l’altro, con la sua tempestività. In una tale direzione induce il secondo considerando della direttiva de qua, che, significativamente, pone l’accento sulla necessità di un tempestivo intervento prima legislativo e poi giurisdizionale per assicurare la cessazione delle violazioni degli interessi collettivi dei consumatori, con l’impiego dei seguenti termini: “considerando che i meccanismi esistenti attualmente sia sul piano nazionale che su quello comunitario per assicurare il rispetto di tali direttive non sempre consentono di porre termine tempestivamente alle violazioni che ledono gli interessi collettivi dei consumatori”. Ed, ancora, l’art. 2 della direttiva, intitolato “provvedimenti inibitori” codifica le finalità proprie dei procedimenti de quibus, evidenziando la necessità di: “a) ordinare con la debita sollecitudine e, se del caso, con procedimento d’urgenza, la cessazione o l’interdizione di qualsiasi violazione; b) se del caso, prevedere misure quali la pubblicazione, integrale o parziale, della decisione, in una forma ritenuta adeguata e/o la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa al fine di eliminare gli effetti perduranti della violazione; c) nella misura in cui l’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato lo permetta, condannare la parte soccombente a versare al Tesoro pubblico o ad altro beneficiario designato nell’ambito o a norma della legislazione nazionale, in caso di non esecuzione della decisione entro il termine fissato dall’organo giurisdizionale o dalle autorità amministrative, un importo determinato per ciascun giorno di ritardo o qualsiasi altro importo previsto dalla legislazione nazionale al fine di garantire l’esecuzione delle decisioni”. Orbene, proprio tenendo presenti gli obiettivi del legislatore comunitario, il presupposto di cui all’art. 140, VIII comma deve essere inteso in termini decisamente più ampi rispetto al pregiudizio irreparabile di cui all’art. 700 cpc: ed, infatti, è utile porre l’attenzione alla corrispondente terminologia comunitaria che, con il ricorso al concetto di “debita sollecitudine” ed all’espressione “se del caso con procedimento d’urgenza”, legittima un’interpretazione decisamente estensiva delle ipotesi applicative del procedimento d’urgenza, in ragione delle specifiche esigenze consumeristiche volta volta esaminate. In particolare, reputa il Tribunale che “i giusti motivi di urgenza” debbano tenere conto delle concrete esigenze di una collettività indeterminata di consumatori, che dall’applicazione di una norma divenuta nulla può subire pregiudizi concreti, che difficilmente possono trovare puntuale ristoro. Una lettura a maglie più ampie del presupposto in questione, quindi, assicura quella tempestività di tutela che meglio risponde alle tempistiche del mercato, spesso non coincidenti con i tempi processuali. Ammettere, quindi, una maggiore ampiezza nella valutazione del requisito in questione significa, nel caso in esame, evitare il protrarsi di situazioni contra legem ed il cristallizzarsi di danni, il risarcimento dei quali si appalesa costoso e, di conseguenza, disincentivante, tenuto conto di valutazioni economiche del tutto legittime. Così ragionando, infatti, la funzione inibitoria assegnata dal legislatore all’azione spiegata ai sensi dell’art. 140, VIII comma svolge una funzione preventiva rispetto al prodursi dei predetti danni, imponendo agli istituti di credito un obbligo di astensione per l’avvenire da comportamenti accertati come antigiuridici. Obbligo di astensione dall’inserimento nei nuovi contratti e dalla reiterata applicazione in quelli già stipulati di una disposizione pattizia riproducente un testo normativo abrogato. Nello stesso senso si sono, del resto, già pronunciati alcuni giudici di merito, rilevando come l’azione inibitoria consumeristica rappresenti un’ipotesi eccezionale di tutela preventiva “per la cui esperibilità non necessita neanche la ricorrenza del presupposto del danno risarcibile. Emerge con evidenza, inoltre, come l’azione inibitoria, secondo la volontà del legislatore comunitario e nazionale, riguardi interessi non di natura individuale, bensì collettivi, la cui estensione rappresenta il parametro normativo indispensabile per valutare non solo la fondatezza della pretesa attivata, ma anche il pericolo che un intervento ritardato svuoti nella sostanza la ratio della tutela” ( Trib. Roma, 23.5.08; Trib. Roma, 17.4.09). Sulla base delle sopra esposte motivazioni, risulta, pertanto, integrato il presupposto dell’urgenza dell’inibitoria esperita. 5) Rimane, infine, da affrontare, sul fronte dell’accoglimento del ricorso, il tema delle modalità di attuazione della richiesta inibitoria. A tale proposito, il ricorso deve essere accolto, ovviamente, nella parte relativa alla inibitoria di ogni forma di capitalizzazione degli interessi passivi maturati nell’ambito del contratto “Conto Corrente Arancio”; restano assorbite le ulteriori richieste relative all’inibitoria della predisposizione, diffusione, utilizzo ed applicazione dell’art. 6 delle condizioni generali di contratto e di ogni analoga clausola adottata negli altri contratti di conto corrente e nei fogli informativi delle condizioni economiche. Con riferimento, invece, all’effettività dell’inibitoria ed alla pubblicità da assegnare all’ordinanza di accoglimento – rimedi previsti dall’art. 140, I comma, lett. b) e c) ed VIII comma del Codice del Consumo – il Tribunale rileva come l’ampiezza delle disposizioni legislative de quibus consenta al giudice, mediante misure atipiche, di fornire la risposta più adeguata al caso in esame e più aderente ad un’effettiva protezione degli interessi dei consumatori. A tale proposito, la Corte di Giustizia delle Comunità europee ha già osservato “come secondo una costante giurisprudenza in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, spetta all’ordinamento giuridico interno di ciascun Stato membro stabilire le modalità procedurali per garantire la salvaguardia dei diritti di cui i soggetti godono ai sensi dell’ordinamento comunitario in forza del principio dell’autonomia processuale degli Stati membri a condizione tuttavia che tali modalità non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario” ( Corte di Giustizia della Comunità europea causa C- 168/05). Trasfondendo tali principi nel caso di specie, quindi, è certamente da accogliere l’ordine alla resistente di pubblicare sulla home page del proprio sito internet avviso con il dispositivo della presente ordinanza diretto ad informare tutti i consumatori che, con decorrenza 1.1.14, per il contratto di conto corrente denominato Conto Corrente Arancio, è vietata qualsiasi forma di anatocismo riferita agli interessi passivi. Non deve essere, invece, accolta la richiesta circa l’informativa ad ottenere, per ogni correntista, il ricalcolo del saldo del proprio conto corrente, trattandosi di diritto soggettivo nella disponibilità di ogni singolo consumatore. Deve, inoltre, essere ordinato alla resistente di inviare comunicazione avente le stesse modalità di trasmissione degli estratti conto e, quindi, cartacea per gli estratti inviati in via cartacea, online per gli estratti comunicati per posta elettronica, diretta ad informare tutti i consumatori che, a partire dall’1.1.14, è vietata ogni clausola anatocistica riferita agli interessi passivi. E’ necessario, infine, anche l’accoglimento dell’ordine di pubblicare il dispositivo della presente ordinanza su tre quotidiani a diffusione nazionale. A tale proposito, il Tribunale reputa necessaria la pubblicazione del dispositivo sui quotidiani “Il Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “Il Sole 24 Ore”, avuto riguardo alla diffusione sia territoriale, sia sociale delle tre testate giornalistiche, ed alla nota attenzione alle questioni economiche riservata da “Il Sole 24 Ore”. Ritiene necessario e sufficiente disporre la pubblicazione in dimensioni non inferiori a mezza pagina, in considerazione del pur necessario risalto da assegnare ad una questione interpretativa dotata di rilevante tecnicismo, non immediatamente percepibile dal consumatore medio, ma ciò non di meno, foriera di non trascurabili pregiudizi economici. Non si ravvisano, invece, i presupposti per la previsioni di penali per ogni inadempimento o per ogni giorno di ritardo nell’osservanza del presente provvedimento. Le spese processuali, sia del primo, sia del secondo grado, comprensive degli esborsi del contributo unificato, seguono la soccombenza e sono liquidate nei termini di cui al dispositivo. p.q.m. 1) accoglie il reclamo proposto dall’Associazione Movimento Consumatori ed, in riforma dell’ordinanza emessa in data 12.1.15, inibisce a ING Bank N.V. di dare corso a qualsiasi ulteriore forma di anatocismo degli interessi passivi con riferimento ai contratti di conto corrente denominati Conto Corrente Arancio, già in essere o da stipulare con consumatori; 2) ordina a ING Bank N.V. di inserire, entro 15 giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento, specifico avviso contenente il dispositivo della presente ordinanza sulla home page del proprio sito web; 3) ordina a ING Bank N.V. di dare comunicazione ad ogni correntista consumatore, entro 15 giorni dalla pubblicazione della presente ordinanza, del presente dispositivo, con le stesse modalità contrattualmente previste per la comunicazione degli estratti conto; 4) ordina a ING Bank N.V. di curare, a proprie spese, entro 30 giorni dalla pubblicazione del presente provvedimento, la pubblicazione in dimensioni non inferiori a mezza pagina del dispositivo dell’ordinanza sui quotidiani “Il Corriere della Sera”, “La Repubblica”, “Il Sole 24 Ore”; 5) condanna ING Bank N.V. a rimborsare, in favore dell’Associazione Movimento Consumatori, le spese processuali, che liquida, quanto al primo grado, in complessivi € 3.931,00, oltre accessori come per legge; quanto al secondo grado, in complessivi € 3.174,00, oltre accessori come per legge.

Così deciso dal Tribunale di Milano come sopra composto e riunito in Camera di Consiglio in data 25.3.15.

Il Giudice relatore Il Presidente Dott. Silvia Brat Dott. Laura Cosentini

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